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Ecco come al Sharaa cerca la fiducia sulla nuova Siria

Il presidente siriano ha usato l’Assemblea Generale dell’Onu per segnare il ritorno di Damasco sulla scena internazionale, incontrando leader come Giorgia Meloni, Macron ed Erdoğan. L’ex comandante jihadista Jolani, punta ora a legittimarsi come guida della Siria post-Assad. Per questo al-Sharaa chiede la fine delle sanzioni e cerca sostegno per la ricostruzione del Paese

L’intervento del presidente siriano Ahmed al-Sharaa all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha segnato il ritorno di Damasco sulla scena diplomatica internazionale. L’ex leader ribelle, con un passato da combattente jihadista in Iraq e una taglia americana da dieci milioni di dollari fino a pochi mesi fa, ha sfruttato il palcoscenico di New York per rafforzare la propria legittimità e presentarsi come volto della Siria post-Assad.

Tra gli incontri bilaterali, quello con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha attirato particolare attenzione in Italia. Roma ha mantenuto negli anni una linea ambivalente verso la crisi siriana, dialogando con l’opposizione ma senza chiudere i canali con il regime di Assad. Questa posizione potrebbe ora tradursi in un ruolo di rilievo nella fase di ricostruzione del Paese, devastato da oltre un decennio di conflitto civile.

Il messaggio di al-Sharaa è stato chiaro: convincere partner e investitori che la stagione del jihad è conclusa e che la Siria può entrare in un processo regionale di normalizzazione e sviluppo. Una strategia che gli servirà anche per passare dall’attuale presidenza ad interim a una leadership definitiva, riconosciuta dal voto popolare e sostenuta a livello internazionale.

La settimana dell’Assemblea Generale è stata funzionale a questo obiettivo. Oltre al colloquio con Meloni e a una breve conversazione con Donald Trump — già incontrato a maggio a Riad — al-Sharaa ha avuto contatti con António Guterres, Kyriakos Mitsotakis, Recep Tayyip Erdoğan ed Emmanuel Macron. Al centro delle discussioni, transizione politica, rimozione delle sanzioni e cooperazione regionale.

Il discorso pronunciato dal podio dell’Onu ha rappresentato un passaggio simbolico. È stato il primo leader siriano a intervenire al Palazzo di Vetro dal 1967, pur restando formalmente sotto sanzioni per legami con il terrorismo. “La Siria sta recuperando il posto che le spetta nella comunità internazionale”, ha dichiarato, sollecitando la revoca delle restrizioni economiche.

La sua narrativa insiste sulla trasformazione del Paese: da “esportatore di conflitti” a potenziale attore di stabilità. Ha promesso giustizia per i responsabili delle violenze e apertura al dialogo, cercando di rispondere ai dubbi che persistono sulla sua leadership e sui rischi di nuove tensioni settarie.

L’approccio assertivo verso Israele, accusato dei raid aerei in territorio siriano, riflette la volontà di mostrarsi fermo sul piano regionale. Ma le parole arrivano mentre Washington spinge per un meccanismo di de-escalation, e lasciano intendere che il percorso verso una distensione rimane complesso.

Per gli osservatori, la settimana newyorchese ha avuto anche una dimensione di immagine: abiti sartoriali al posto della divisa da combattente, registri diplomatici più sobri e un’agenda di incontri serrata. “Il suo obiettivo è mostrare che esiste una nuova presidenza siriana, distinta dal passato”, commenta riservatamente un diplomatico presente all’Assemblea.

Il successo di questa operazione dipenderà dalla capacità di tradurre la retorica in fatti. La ricostruzione siriana richiederà capitali esteri, un quadro politico inclusivo e una ridefinizione dei rapporti internazionali.


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