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Elezioni e destabilizzazione. Continua l’analisi sulla strategia russa in Moldavia

Da settimane seguiamo e analizziamo la Moldavia come laboratorio della guerra ibrida russa. Operazioni di influenza elettorale, campagne multivettore che uniscono disinformazione, sabotaggi tentati e sfruttamento narrativo della Transnistria per destabilizzare Chișinău. Gli aggiornamenti

La Moldavia è il laboratorio “da manuale” della guerra ibrida russa. E se una buona attività di spionaggio è sempre graduale e basata su un certo garbo apparente, direbbe George Smiley, qui non c’è nulla di gentile o limitato alla sola influenza. Mosca non si limita a orientare il voto, lo combatte. L’obiettivo operativo è chiaro e duplice: negare a Chișinău il percorso europeo e costruire una (altra) testa di ponte per infiltrarsi dentro l’Unione, con la possibilità di infiltrare vettori di minaccia per colpire l’Ucraina da ovest.

Le elezioni

La cornice è un’elezione elettorale ma esistenziale, più identitaria che ideologica. Non si tratta di destra contro sinistra, ma integrazione con Bruxelles contro il ritorno nell’orbita del Cremlino. Dopo il referendum del 2024 sull’adesione all’Ue passato per un soffio, con il 50,39%, il ritmo degli attacchi si è alzato, come analizzato in precedenza. Cybersabotaggi, propaganda su scala industriale, denaro grigio che irrora strutture mediatiche e macchine politiche anti-Pas, il partito della presidente Maia Sandu. La posta in gioco è ancora una volta duplice, bloccare l’allargamento a est e aprire una base per operazioni ibride dentro i confini dell’Unione.

Armi di distrazione di massa

Il campo di battaglia principale è quello cognitivo. L’informazione è stata weaponizzata con una filiera che va da Telegram alle tv satellitari “riciclate” su domini di comodo, passando per canali civetta, bot e deepfake in grado di imitare grafiche e codici visivi delle emittenti nazionali. Le narrazioni standard del Cremlino vengono localizzate su bersagli differenti. Dalla paura per la presunta occupazione Nato, già riportata nei giorni scorsi, al frame sui valori tradizionali minacciati dall’Europa, fino alla personalizzazione contro Sandu, ridotta a bersaglio di campagne misogine e demonizzanti. È un tappeto di messaggi che confonde, polarizza, spaventa. Parallelamente corre il binario cinetico sottosoglia: incendi dolosi, provocazioni, preparazione di azioni eversive, operazioni di falsa bandiera, piazze gonfiate ad arte. La Transnistria, dove Mosca mantiene uomini e infrastrutture, è l’acceleratore di crisi a ridosso di Odessa, il perno con cui alzare e abbassare la temperatura del confronto.

La macchina propagandistica

Il denaro alimenta la macchina. Oligarchi in esilio, in testa Ilan Shor, reti ecclesiastiche e influencer a pagamento tengono in piedi la catena di montaggio della disinformazione e del consenso artificiale. I flussi si spostano via criptovalute, anche attraverso hub centroasiatici, frazionati in migliaia di microtransazioni per oliare partiti-ombre, liste civetta e reti di voto di scambio. La tecnologia, come osservato in precedenza, fa da moltiplicatore di potenza. Modelli linguistici open source manipolati per aggirare controlli e watermark, video falsi sempre più verosimili, infrastrutture mirror resilienti ai takedown.

L’ambizione più sofisticata va oltre il ciclo elettorale. Vuole saturare la rete di contenuti pro-Cremlino fino ad avvelenare i dataset dei modelli generativi occidentali, incidendo nel lungo periodo sul dominio cognitivo e sul processo decisionale delle nostre democrazie.

Attorno a questo asse si muove un ecosistema operativo stratificato. I media-hub locali come Moldova24 e Pravda Moldova offrono la facciata “domestica” a contenuti e infrastrutture di chiara origine russa, amplificati su YouTube, Instagram e TikTok con campagne a basso costo e una distribuzione studiata sulle comunità russofone di Gagauzia e Transnistria. Le reti coordinate, cluster con nomi in codice come “Operation Overload/Undercut”, “Foundation to Battle Injustice”, operano su linee parallele. Assediano giornalisti e fact-checker con false fughe di notizie e deepfake, colonizzano TikTok con account fasulli che preannunciano brogli e crisi, rilanciano inchieste manipolate a ciclo continuo. Sono eserciti informativi con armi disinformative, soldati d’influenza. La religione è un altro canale potente per la penetrazione, una parte della Chiesa ortodossa moldava, legata a Mosca, forma sacerdoti alla propaganda social; perfino icone con QR code distribuite durante le funzioni rimandano a canali Telegram dove si pagano condivisioni e consenso.

Le contromisure e l’Europa

Il governo di Chișinău prova a reggere. Ha alzato le barriere con perquisizioni e arresti preventivi, blocchi di domini illegali, un monitoraggio serrato da parte del Consiglio audiovisivo, l’irrobustimento delle infrastrutture cyber ed elettorali, e una rete di media indipendenti e centri giovanili per l’alfabetizzazione informativa. L’Unione europea ha messo in campo una riserva informatica, osservatori e supporto di comunicazione strategica. Ma il confronto resta asimmetrico. I tagli statunitensi, soprattutto allo scudo mediatico e civico veicolato da Usaid, hanno aperto un varco che Bruxelles prova a colmare senza riuscire, da sola, a ripristinare il livello di deterrenza e resilienza precedente. La finestra di vulnerabilità che ne deriva è il punto su cui il Cremlino fa leva.

Perché tutto questo riguarda direttamente l’intelligence europea? Perché la Moldavia è un test bed. Con la Romania a ovest, e un bacino di cittadini moldavi con passaporto romeno, è una porta d’accesso dentro Schengen, piattaforma ideale per sabotaggi, traffici d’influenza e operazioni contro infrastrutture critiche e installazioni alleate. Una Moldavia docile e complice, o comunque non europea, consente di stringere l’Ucraina da ovest e moltiplica i rischi su Odessa. Se l’inquinamento informativo entra nei modelli di Intelligenza Artificiale e nei sistemi che alimentano media e policy making, l’effetto si sedimenta, il bias si istituzionalizza, la resilienza sociale si erode.

Il piano immediato di Mosca non è necessariamente quello di vincere le elezioni, ma negare la maggioranza al Pas, produrre stallo, costringere a coalizioni fragili, alimentare sfiducia e aprire la strada a elezioni anticipate. Nel frattempo, consolidare la narrativa dell’occupazione Nato-Ue e preparare il terreno per contestare il risultato. Difendere lo spazio democratico moldavo significa tutelare l’interesse strategico europeo.

Per farlo, occorrono almeno quattro linee d’azione intrecciate. Primo, hardening elettorale e cyber con capacità di risposta h24 e team misti pubblico-privati. Secondo, trasparenza finanziaria sui flussi in criptovalute e sui money mule locali, con sanzioni mirate e interdizioni rapide. Terzo, contro-influenza proattiva, capace di smontare i falsi in ore e non in giorni, in partnership con piattaforme e broadcaster locali e con protezioni legali per i media indipendenti. Quarto, difese di intelligenza artificiale che rendano tracciabili e inutilizzabili i deepfake, preservando l’integrità dei dataset usati da amministrazioni e redazioni e impedendo l’inoculazione sistematica di contenuti tossici.

La sostanza non cambia. La Moldavia non è un episodio periferico, ma la prova che la parola influenza è un’etichetta cortese per una campagna a spettro completo, che talvolta accompagna o anticipa lo scontro cinetico, talvolta lo sostituisce. Se regge Chișinău, regge una parte cruciale della frontiera cognitiva dell’Europa. Se salta, il varco è aperto.


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