Giusta la proposta di Confindustria per un piano triennale di investimenti per le imprese, ma prima bisogna permettere a Giancarlo Giorgetti di mettere ulteriormente in sicurezza i conti. Solo allora si potranno liberare risorse per sostenere l’industria. Il miglioramento del rating da parte di Fitch è tutto merito dell’Italia. La Francia? Paga un modello di Stato sociale non più sostenibile. Conversazione con l’economista e vicepresidente della Fondazione Edison, Marco Fortis
Se il tempo è galantuomo, l’Italia avrà altre soddisfazioni. In questo momento l’unica cosa che conta è puntellare il meglio possibile il credito che l’Italia si è guadagnata sui mercati. Tradotto, lasciare che Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni finiscano l’opera di risanamento dei conti pubblici. Poi si potrà dare spazio a quel piano industriale invocato dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini e che vale circa 8 miliardi di investimenti, spalmati su tre anni. D’altronde, il tesoretto accumulato dall’Italia in questi mesi ha la sua consistenza.
Prima il vento a favore dei mercati, con 11 miliardi di euro risparmiati in minori interessi sul debito, poi la promozione di Fitch, cinque giorni fa e forse quella di Standard&Poor’s, tra dieci. In mezzo, l’aggiornamento dei conti da parte dell’Istat che racconta di una crescita più tonica del previsto nel 2023 (1%) e di un deficit dimezzato al 3,4% nel 2024. Ce n’è abbastanza, dice a Formiche.net l’economista e vicepresidente della Fondazione Edison, Marco Fortis, per aumentare in potenza la gittata della prossima manovra (in Parlamento il 20 ottobre) e pensare, magari il prossimo anno, quando la pera sarà matura, a un grande piano di investimenti in Intelligenza Artificiale, sostenibilità e formazione.
“Partiamo da un presupposto, l’Europa è ferma, impantanata, del rapporto presentato da Mario Draghi non è stato fatto nulla. Inoltre è stato ingaggiato un corpo a corpo con la Cina sul ring dell’auto elettrica, ben sapendo che Pechino ci può fare neri quando vuole”, premette Fortis. “Detto questo, quando comunicato dall’Istat in questi giorni, dà la cifra dei grandi progressi compiuti dall’Italia in questi mesi: il deficit è migliorato di otto decimali, il Pil del 2023 è stato rivisto al rialzo. Ora, se noi riusciamo a scendere sotto il 3% di deficit/Pil entro il 2025, si aprirebbero spazi di manovra interessanti per il governo. E allora sì che si potrebbe mettere a terra un robusto piano di investimenti, come suggerisce Confindustria”, chiarisce ancora l’economista.
“Oggi le imprese sono prudenti, non sanno bene cosa fare, come comportarsi e per questo avrebbero bisogno di investimenti. Ma bisogna fare le cose con un minimo di senno. Dunque, chiudiamo prima la partita dei conti pubblici, apriamo quegli spazi di bilancio e poi, allora, liberiamo nel 2026 un po’ di spesa. Per questo dico, lasciamo lavorare il ministro Giorgetti nel risanamento dei conti pubblici, non disturbiamo il macchinista, poi verrà il tempo degli investimenti. D’altronde, questo governo ci sta portando in serie A, lo dicono economisti e le stesse agenzie di rating, che hanno riconosciuto il merito italiano”. Già, ma dove investire? “Intelligenza Artificiale, Industria 4.0, anzi direi Intelligenza Artificiale 4.0. Queste sono le priorità del Paese, insieme a una fiscalità premiale per le stesse aziende, si intende. E comunque, l’Italia non è più percepito come pecora nera d’Europa, anzi”. Certo, c’è sempre quell’enorme debito pubblico. Ma che “se depurato da quello finanziato da famiglie e imprese, è al 116% del Pil e la Francia sta per superarci”.
Già, la Francia. E qui il discorso si sposta inevitabilmente su Parigi che “rischia di diventare l’anello debole dell’Eurozona: debito in forte crescita, deficit primario fuori controllo, difficoltà politiche e sociali. L’Italia invece dopo anni di sacrifici ha imparato a tenere i conti più in ordine ed è tornata stabilmente in avanzo primario. Il confronto tra Roma e Parigi si capovolge: se prima l’Italia era percepita come la pecora nera d’Europa, ora appare come un Paese solido, con un debito sostenuto in gran parte dal risparmio domestico e un export che corre quasi ai livelli del Giappone. L’Italia rischia di diventare l’unico vaso di ferro in un G7 fatto di vasi di coccio. Persino la Germania dovrà aumentare il debito per uscire dalla crisi. Per noi, al contrario, si schiude un’occasione storica”, mette in chiaro Fortis.
“Dobbiamo però dire che la Francia ha dei grandi punti di forza, grandi capitali e aziende sostenute dallo Stato. Ma c’è stato negli ultimi tempi un appesantimento dello Stato sociale, che però, a differenza dell’Italia è stato pagato senza tirare la cinghia. Qui da noi abbiamo fatto la Fornero per pagare un certo welfare, in Francia hanno fatto diversamente. E poi in Italia oltre 4.300 miliardi sono detenuti da famiglie e imprese, un vero cuscinetto che ci rende meno esposti. La Francia, al contrario, dipende in larga misura da investitori esteri, che per anni ne hanno finanziato lo Stato sociale. Ora però non sono più disposti a sostenere un Paese incapace di attuare riforme, nemmeno su questioni minime come l’abolizione di due festività, figurarsi sulle pensioni. Parigi, temo, non riuscirà più a mollare quel modello, andando incontro a un deficit di gran lunga più alto di quello odierno”.