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La tirannia della cultura woke e il suo contrario. La riflessione di Polillo

Ogni avanzata culturale genera una reazione contraria: dai movimenti per i diritti civili e LGBT alle pulsioni conservatrici che ne contestano l’impianto. Una dialettica che oggi si gioca tra politicamente corretto, identità e libertà di parola. L’analisi di Polillo

Ad un’azione – come insegna la fisica – corrisponde una reazione uguale e contraria. Fu Isaac Newton ad enunciare quello che diventerà il terzo principio della dinamica. Naturalmente, affinché vi sia movimento, i soggetti in campo devono essere due ed operare in direzione opposta.
Se questa condizione non si verifica il movimento è nullo. Si tratta di qualcosa che riguarda solo quella scienza oppure la sua valenza è più generale, fino a riguardare il pendolo del divenire sociale?
Molti fenomeni contemporanei possono essere spiegati, utilizzando quello schema concettuale. É, infatti, difficile non vedere i grandi cambiamenti intervenuti, in questi ultimi anni, nella cultura e nei costumi della società.
Soprattutto nei Paesi più avanzati da un punto di vista economico e sociale. Si prenda il caso delle posizioni woke.
Originariamente quel grido – “stay woke”(stai sveglio, guardati intorno) apparteneva ad una vecchia ballata del cantautore afroamericano Lead Belly, in cui si parlava del caso nove ragazzi neri, accusati ingiustamente, in Alabama, di aver violentate due ragazze bianche.
All’inizio del Terzo Millennio divenne l’emblema del “Black Lives Matter”: il movimento antirazzista nato a seguito dell’omicidio da parte della polizia del giovane nero Michael Brown, avvenuto nel Missouri. E dei successivi brutali interventi, sempre della polizia, contro uomini di colore.
Spesso fermati per futili motivi e poi uccisi senza alcuna apparente motivazione.
Dal punto di vista politico – culturale non si trattava altro che della ripresa di temi che – da Martin Luther King a Malcolm X – avevano segnato l’epopea americana nella storica lotta di emancipazione del popolo nero.
Su un fronte diverso – quello della liberazione sessuale – il punto di non ritorno fu dato dal duro intervento della polizia in un bar – lo Stonewall Inn di Christopher Street – nelle prime ore del mattino di sabato 28 giugno 1969, a New York, nel Greenwich Village di Lower Manhattan.
Locali del genere esistevano in quasi tutti i Paesi occidentali.
Erano, tuttavia, costretti a vivere nella quasi clandestinità. Tuttalpiù tollerati, ma mai accettati dai benpensanti. Ne Paesi illiberali come Cuba o l’URRS era peggio.
Nel primo caso si rischiava una deportazione nei campi di lavoro forzato. Nel secondo l’arresto con esiti imprevedibili.
La risposta alla retata americana fu l’emersione del movimento gay (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, asessuali, non-binarie, intersessuali e queer), con il seguito di grandi manifestazioni di massa nel segno dell’ “orgoglio LGBT”.
Destinate a divenire un appuntamento periodico nella maggior parte delle principali città del Pianeta.
Si trattò indubbiamente di un momento di grande emancipazione.
Ammettere che la sessualità poteva essere declinata anche in un modo diverso, rappresentava il riconoscimento di una verità per troppo tempo occultata e mascherata. Rispetto al comune sentire si trattava, comunque, di posizioni minoritarie.
Il che spiega la convergenza implicita del nuovo movimento con il sentire di altre minoranze: fossero esse etniche, culturali o religiose.
Quindi la nascita di un comune sentimento volto ad affermare la necessità di un “rispetto”, da parte dei poteri costituiti nel nome di quei principi di libertà e di democrazia che sono il fondamento della civiltà occidentale.
Il passaggio dal semplice riconoscimento di quella realtà più complessa, alla sua progressiva esaltazione, nel nome del “politicamente corretto”, rappresentò la parabola complessiva di un processo destinato a trasformarsi da semplice fatto storico – sociale a discriminante di carattere politico.
Nascevano così le varie teorie gender: una sorta di grande fiume in cui confluivano vari immissari: dal femminismo alla sociologia costruzionista; dagli studi di genere alla teoria queer fino a giungere al transessualismo.
Con una caratteristica specifica, tuttavia, data dalla loro impronta politica ed emancipativa.
Molte di quelle teorie non si limitavano a proporre teorie e applicarle all’analisi della cultura, ma miravano anche a realizzare cambiamenti in ambito della mentalità e della società. Rafforzando i legami originari tra le diverse minoranze.
Ed ecco allora il passaggio dall’analisi dalle semplici preferenze individuale al tentativo di introdurre istituti capaci di modellare diversamente la società.
Dal matrimonio gay, del tutto uguale a quello tra un uomo ed una donna, alla fecondazione eterologa; dal voler sostituire sui documenti anagrafici il nome di madre e padre con quello di genitore 1 e genitore 2 alla possibilità da parte della coppia gay di adottare dei bambini: pratica quest’ultima ancora vietata in Italia.
Il tutto condito con una tolleranza rispetto al “diverso” che a volte è arrivata fino al punto di negare le proprie radici storiche – culturali.
Come nel caso di quelle scuole che volevano togliere il crocefisso dalle aule per rispetto di quegli studenti appartenenti ad un altro credo religioso.
Il progressivo strutturarsi di questa “azione” non poteva che determinare una reazione opposta e contraria.
La si è vista in Italia, basti pensare al successo di un libro, tutt’altro che esaltante, come quello del Generale Vannacci.
La si vede, con una virulenza ben maggiore – l’assassinio di Charlie Kirk – negli Stati Uniti. E nelle reazioni di Donal Trump, che fanno pensare ad un ritorno del maccartismo. In tutti i casi società violentemente spaccate, sebbene, come del caso dell’Europa, Annibale sia alle porte e minacci con i suoi Mig e droni il quieto vivere del bel tempo andato.
Antonio Polito dalle pagine de Il Corriere si è occupato delle stesse cose, in salsa americana.
Ha parlato di “Free speach” e di “hate speach” per ricordare quanto sia importante la libertà di parola, che non va violentata in una contrapposizione irriducibile. Il nostro pensiero è invece rivolto all’Europa: a quella grande cultura che fu degli inizi dell’800.
La speranza non è solo in quella sintesi che da sempre ha caratterizzato il cammino della storia. Ma ch’essa avvenga quanto prima. Per ridurre il tempo di quel “travaglio” che, secondo Hegel, è componente ineliminabile della natura umana.

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