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La via cinese ai data center. Tra mercato nero, connessioni e mega-cluster

La strategia cinese per l’AI si fonda su nuovi mega data center e su una migliore integrazione delle risorse esistenti. Strutture remote e spesso sottoutilizzate saranno collegate grazie a reti ad alte prestazioni, mentre i mega-poli saranno costruiti secondo criteri di efficienza massima

Nel più ampio fenomeno della corsa all’AI, uno dei temi dove la competizione geopolitica al giorno d’oggi risulta più accesa, rientra tra le altre cose anche la competizione per i data center, le infrastrutture fisiche che rendono possibile il processo di calcolo dei LLM (Large language models). In quest’ultima competizione al momento gli Stati Uniti sono nettamente in testa, stando a quanto stimato da Epoch AI, secondo il quale gli Stati Uniti dispongono al momento di circa il 75% della capacità di calcolo globale, mentre la Repubblica Popolare si ferma soltanto al 15%. Ma Pechino sembra intenzionata a cercare di cambiare la situazione.

L’approccio di Zhongnanhai, enunciato nel 2022, prevede uno “sdoppiamento geografico”: i data center costruiti negli scorsi anni nelle regioni occidentali, in prossimità di importanti fonti di energia come i campi di pannelli solari e lontani da importanti centri abitati, saranno destinati all’addestramento dei Large Language Models, mentre una nuova serie di data center sarà costruita nei pressi delle aree a più alta densità abitativa delle regioni orientali (le più popolate del Paese), e si concentreranno sull’inferenza, cioè il processo con cui strumenti di IA come i chatbot generano risposte, sfruttando la maggiore vicinanza fisica agli utenti finali per consentire calcoli più veloci.

In questa categoria rientra la cosiddetta “Data Island” di Wuhu, un mega-cluster attualmente in costruzione su un’isola in mezzo al fiume Yangtze, in prossimità della prefettura della città della provincia di Anhui, che fungerà da sede per quattro nuovi data center gestiti rispettivamente da Huawei, China Telecom, China Unicom e China Mobile. I data center di Wuhu serviranno le grandi città lungo il delta dello Yangtze come Shanghai, Hangzhou, Nanchino e Suzhou; a Nord i centri di Ulanqab, nella Mongolia Interna, serviranno Pechino e Tianjin; a Sud, le infrastrutture di Guizhou riforniranno Guangzhou, mentre quelle di di Qingyang, nel Gansu, serviranno Chengdu e Chongqing.

L’obiettivo del piano di Pechino è di efficientare al massimo quanto a disposizione per ridurre il suo vantaggio strutturale con Washington, svantaggio esacerbato dai controlli sulle esportazioni statunitensi che impediscono agli attori cinesi di accedere ai prodotti di Nvidia, l’azienda leader nella produzione di hardware legata all’AI, e dal divieto imposto alla taiwanese Tsmc e alla coreana Samsung di vendere chip per l’AI a compratori della Repubblica Popolare. Un vuoto che i produttori cinesi come Huawei e Cambricon hanno faticato a colmare. Un contesto che ha favorito la nascita di un crescente mercato nero. Sempre a Wuhu si basa la società “Gate of the Era”, che una precedente inchiesta del Financial Times aveva individuato come una dei protagonisti dell’introduzione illegale di materiale Nvidia in Cina in piena violazione delle sanzioni.

Spesso questi chip sono stati acquistati anche con finanziamenti di governi locali, che sono restii a trasferirli altrove per preservare l’impatto economico sul territorio – Pechino sta puntando a connettere tra loro diversi data center tramite reti ad alte prestazioni. Utilizzando tecnologie di China Telecom e Huawei (transponder, switch, router e software) è possibile collegare processori distribuiti in vari siti, trasformandoli in un unico cluster centralizzato. Questo approccio, già diffuso tra i fornitori di servizi cloud per garantire ridondanza, permette di spostare capacità di calcolo dalle regioni occidentali a quelle orientali del Paese.

Un altro stratagemma seguito da Zhongnanhai mira a valorizzare gli hardware inutilizzati siti in strutture remote, spesso rimasti inattivi per carenza di competenze tecniche e domanda locale. Nonostante l’elevata richiesta altrove, molti di questi chip sono stati acquistati con fondi dei governi locali, che sono riluttanti a cederli per salvaguardare il proprio Pil. Come soluzione a questo impasse, Pechino ha deciso di puntare su soluzioni tecnologiche anziché sul trasferimento fisico dei server: con il supporto di China Telecom e Huawei, si stanno connettendo processori distribuiti in diversi siti tramite reti ad alte prestazioni, creando cluster centralizzati di calcolo. La tecnologia, già adottata dai fornitori di servizi cloud per garantire continuità operativa, consente anche di ridistribuire la capacità computazionale dalle regioni occidentali verso quelle orientali del Paese.

Questo modello, però, incontra limiti legati all’efficienza: l’uso di data center più piccoli e obsoleti risulta meno vantaggioso rispetto a grandi strutture moderne, riducendo le economie di scala. Per affrontare il problema, Huawei sta sviluppando Ub-Mesh, una rete che promette di raddoppiare l’efficacia dell’addestramento dei LLM ottimizzando l’allocazione dei carichi di lavoro tra cluster diversi. Una mossa di ampio respiro secondo gli analisti, che definiscono la creazione di reti che colleghino i chip rappresenta un passo strategico verso il consolidamento di un mercato frammentato e verso una migliore gestione delle risorse computazionali della Cina.


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