Le parole del Presidente della repubblica Sergio Mattarella al forum Ambrosetti hanno lasciato il segno ed anticipato gli sviluppi sui vari scenari internazionali. Il corsivo di Gianfranco D’Anna
L’effetto Mattarella ha già determinato importanti svolte nelle capitali europee e in campo internazionale. Il monito e la presa di coscienza sulla difesa della civiltà europea, espressi al forum Ambrosetti del Capo dello Stato, sono stati assunti come il baricentro delle iniziative unitarie a favore dell’Ucraina da parte dei Paesi volenterosi con l’impegno ad essere vicini a Kiev e presenti “sul campo, in mare o nell’ aria”, anche presso basi militari vicine all’Ucraina.
Per Trump e Putin, ai quali si riferiva senza alcun accenno diretto l’affermazione del Presidente Mattarella sull’incrocio tra le ambizioni e l’impulso di dominio, di impronta neo-imperialista, che si manifesta da parte dei governi di alcuni Paesi, rischia di essere letale per il futuro dell’umanità gli sviluppi della situazione internazionale si prospettano in maniera molto diversa.
Dopo la kermesse della parata militare di Pechino e l’esibizione dell’alleanza in chiave anti-occidentale con Russia, India ed i paesi emergenti, il Presidente americano avrebbe deciso di accelerare i tempi di una trattativa diretta con leader Cinese Xi Jinping incontrandolo ad ottobre in Corea del Sud al vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation.
In una telefonata del mese scorso, Xi aveva invitato Trump e sua moglie a visitare la Cina, un invito che il presidente degli Stati Uniti ha ricambiato, sebbene non siano state ancora fissate date. Dai dazi agli equilibri strategici, il dialogo Washington Pechino starebbe dunque prendendo forma.
Per Vladimir Putin l’autunno e l’inverno si prospettano invece molto diversi dalla narrazione propagandistica del leader vincitore diplomaticamente e militarmente sull’Ucraina, della Russia tutt’altro che isolata ed anzi protagonista del rilancio dell’alleanza anti Usa ed anti occidentale con la Cina, l’India e i paesi emergenti.
Sono, in controluce, le stesse fonti moscovite ad evidenziare una realtà alternativa di dimensioni che é ancora prematuro valutare esattamente, ma che comunque é indicativa della complessità che si muove dietro le quinte del Cremlino.
È la stampa russa ad anticipare infatti l’uscita di scena Dmitry Kozak, considerato l’ultimo non falco dell’entourage di Putin.
Il Presidente russo ha ordinato la chiusura dei due dipartimenti diretti da Kozak, unico esponente dell’Amministrazione presidenziale a esprimersi contro la guerra in Ucraina, anche se mai pubblicamente.
Secondo il New York Times, il 66enne Kozak, che comunque non può essere certo essere definito una colomba, ha deluso Putin continuando a sostenere una posizione contraria alla guerra contro l’Ucraina.
Già pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione, nel febbraio del 2022, Kozak aveva fatto trapelare di aver consigliato il Presidente di non dare inizio al blitz e nei mesi successivi gli aveva presentato una bozza di accordo di pace negoziato con Kiev che Putin aveva respinto.
Iniziativa che gli era costata una prima rimozione dagli incarichi sui dossier riguardanti l’Ucraina. Dossier passati sotto il controllo del vice capo di gabinetto del Cremlino Kiryenko, in ascesa nell’Amministrazione e a cui sono stati affidati oltre che i territori occupati ucraini anche altri dossier che un tempo erano di Kozak, come la Moldova e le regioni della Georgia di Abkhazia e Ossezia del Sud.
Capo gabinetto di Putin appena nominato Premier nel 1999, Dmitry Kozak che aveva prestato servizio nelle forze speciali sovietiche ed aveva lavorato con Putin all’Amministrazione di San Pietroburgo negli anni Novanta, ha gestito la preparazione dei giochi olimpici invernali di Sochi, come vice Premier, carica che ha mantenuto per 12 anni, e in seguito ha supervisionato l’integrazione della Crimea alla Russia, dopo l’annessione della regione.
In attesa di capire se é un prezzo che, per bilanciare le finte aperture negoziali a Trump, il Presidente russo ha dovuto pagare all’ala oltranzista del Cremlino che preme per una escalation della guerra contro l’Ucraina anche a costo di usare bombe atomiche tattiche, di ridotte dimensioni, ma con impatto nucleare superiore alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, l’uscita di scena di Kozak smaschera in ogni caso le reali intenzioni di Putin di continuare un conflitto che costringe la Russia a destinare il 40% del suo bilancio al finanziamento dell’economia di guerra, ed é l’ulteriore riprova della messinscena dell’avvio di trattative con la Casa Bianca.
Sul piano militare non vi sono invece dubbi interpretativi. Pur con tutti gli spietati bombardamenti contro le infrastrutture civili e la popolazione, la situazione non è affatto favorevole a Mosca.
E la fonte è in prima persona il Capo di Stato Maggiore russo e comandante delle truppe di invasione Generale Valery Gerasimov, che il 30 agosto, ha riunito i suoi comandanti di vertice per “riassumere i risultati delle operazioni del periodo primavera-estate e chiarire i compiti per il futuro”.
Dalle valutazioni di Gerasimov si evince che nonostante” l’iniziativa strategica sia interamente nelle mani delle forze russe”, la tanto decantata offensiva estiva ha fatto solo progressi marginali e non ha nemmeno conquistato le quattro regioni ucraine rivendicate dalla Russia nel 2022, quando iniziò la guerra. Mentre non si capisce perché se é vero che i russi hanno ammassato oltre 700 mila soldati per scatenare l’offensiva, questa non sia scattata nei mesi più caldi e debba iniziare in concomitanza con le prime piogge autunnali.
Inoltre secondo le stime incrociate dell’intelligence americana, inglese ed europea, finora tutti i modesti progressi sono stati ottenuti al costo immenso di oltre 1 milione di morti e feriti russi.
In autunno e in inverno per Mosca l’attuale panorama militare, diametralmente opposto a quello che viene ostentato, é destinato ad aggravarsi progressivamente per la ripresa del massiccio riarmo da parte degli Stati Uniti e dell’accresciuto apporto dell’Europa all’Ucraina. Kiev sarà inoltre dotata di missili a lunga gittata in grado di colpire le basi logistiche, gli arsenali di armi, i depositi e gli snodi dei trasporti in tutto il territorio russo.
“L’obiettivo non dovrebbe consistere nello sconfiggere la Russia a priori, ma di negarle sistematicamente la capacità di raggiungere i suoi obiettivi militari: la vittoria significa imparare a prosperare sotto una costante pressione militare”, ha affermato in una intervista al Washington Post l’ex ministro della Difesa, Andriy Zagorodnyuk.
Per il Washington Post, l’Ucraina eroicamente sta abbracciando quello che potrebbe essere descritto come “pessimismo strategico”: la cavalleria non arriverà, Trump non porrà fine alla guerra in un giorno, né in un anno, né mai, mentre l’Europa sta lodevolmente colmando come può il vuoto.
Kiev potrebbe non vincere questa guerra, ammette Zagorodnyuk, ma non lo farà nemmeno la Russia. E per i difensori, questa è innegabilmente una sorta di vittoria.