Il Paese ha bisogno di un patto culturale nazionale, base di ogni democrazia. Questo patto, forte anche ai tempi del confronto durissimo Dc-Pci, si è sfilacciato negli ultimi decenni e oggi i partiti mettono il proprio interesse di parte prima di quello nazionale, mentre dovrebbe essere il contrario. Ma proprio per questo il problema non è, né può essere una zoppicante riforma sul premierato ma una convergenza sulla politica estera, problema dirimente del Paese
È giusto lo spirito della lettera al Foglio di qualche giorno fa di Arianna Meloni, capo della segreteria di Fratelli d’Italia e quindi proconsole nel partito per la sorella e premier Giorgia. Lancia un messaggio di convergenza istituzionale e nazionale ai partiti di opposizione e in particolare al Pd.
Il Paese ha bisogno di un patto culturale nazionale, base di ogni democrazia. Questo patto, forte anche ai tempi del confronto durissimo Dc-Pci, si è sfilacciato negli ultimi decenni e oggi i partiti mettono il proprio interesse di parte prima di quello nazionale, mentre dovrebbe essere il contrario.
Ma proprio per questo il problema non è, né può essere una zoppicante riforma sul premierato ma una convergenza sulla politica estera, problema dirimente del Paese.
Qui i temi scottanti sono due, la Russia e Israele. Come e dove sceglie di stare l’Italia su tali questioni di guerra. L’Italia può fare finta di non essere in guerra. Ma la violenza nelle piazze di ieri dei dimostranti pro Palestina, le difese a spada tratta di Mosca contro la Nato, quando l’Italia è nella Nato, dimostrano altro. Provano che l’Italia non può illudersi di essere neutrale. Le guerre sono già dentro l’Italia, peggio che durante la prima Guerra fredda.
Allora la divisione di campi passava tra governo e opposizione, oggi invece passa per la maggioranza di governo e anche l’opposizione. Sono le politiche più decisive della nazione che deve scegliere da che parte stare in guerra. Significa che il bipolarismo, che pure ha dato un grosso e necessario scossone al Paese, non può più andare avanti.
Già il primo governo Conte, con la sua coalizione gialloverde provò il punto. I partiti allora innovatori/sabotatori del sistema istituzionale si unirono per aprire il parlamento “come una scatoletta di tonno”. Quelli vecchi, “istituzionali” rimasero all’opposizione.
Oggi bisogna fare lo stesso, perché i partiti “vecchi” possono scegliere di essere con chiarezza per la Nato e con Israele, i gialloverdi invece scelgano di appoggiare la Russia e i terroristi palestinesi di Hamas. Il Paese deve potere decidere con chiarezza da che parte stare. Portarsi in seno per maggioranza e opposizione dissenso così radicale significa distruggere il Paese.
Meloni o la leader del Pd Elly Schlein, i leader di M5S e Lega, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, nessuno si salva dall’usura quotidiana di questi conflitti urlati e allo stesso negati.
Del resto, pur cambiando il momento storico, già alla fine della Seconda guerra mondiale si pose questo problema. Allora sempre la questione era Mosca, come porsi davanti all’Urss. Con la divisione netta su Mosca tra governo e opposizione si salvò il Paese che stava scivolando nella guerra civile.
Oggi pur cambiando molti elementi la scelta è simile.