Secondo la Procura Generale russa, l’istituto britannico è responsabile di dare troppe attenzioni allo sviluppo militare di Mosca e di promuovere una retorica anti-russa. Ma lo stesso Rusi respinge le accuse e difende il suo operato di studio
Il Cremlino mette al bando uno dei più importanti think tank britannici che si occupano di sicurezza. Con un comunicato stampa rilasciato il 2 settembre, l’Ufficio del Procuratore Generale della Russia ha reso pubblica la decisione di proibire le attività del Royal United Services Institute (a cui generalmente ci si riferisce impiegando l’acronimo Rusi) in territorio russo.
L’istituzione legale russa ha motivato la sua decisione con il fatto che una parte significativa dei materiali e degli eventi dell’organizzazione (la quale, come viene sottolineato nel documento, è “finanziata dalle autorità britanniche, dalla Commissione europea e da organizzazioni indesiderabili nel nostro Paese”) sia dedicata allo studio della sfera politica e militare della Russia e che, “con il pretesto di contrastare l’immaginaria minaccia russa”, portino avanti un dibattito sulle metodologie di combattimento e di intelligence della Russia, così come sullo sviluppo di nuovi tipi di armi. Inoltre, il think tank londinese viene accusato di pubblicare articoli in cui si afferma che la Russia cerca “di annettere l’Europa, di screditare l’Occidente e di interferire nei processi elettorali di altri Paesi”, e di lanciare appelli ai membri dell’Alleanza Atlantica affinché si uniscano per avere un impatto più distruttivo sull’economia russa. Una retorica che, secondo l’Ufficio del Procuratore Generale, è divenuta ancora più marcata dopo l’inizio di quella che viene definita “Operazione Militare Speciale”.
Che al Rusi venga studiata la politica estera e militare di Mosca non c’è alcun dubbio, essendo parte integrante della sua missione. Fondato nel 1831 da quel Sir Arthur Wellesley, Duca di Wellington, che pochi anni prima nei pressi del villaggio belga di Waterloo aveva vinto la battaglia che avrebbe messo fine in maniera definitiva all’epopea di Napoleone Bonaparte, il Rusi si pone tutt’oggi l’obiettivo di condurre “ricerche”, incoraggiare “il dibattito” e fornire “opzioni su questioni critiche relative alla difesa e alla sicurezza nazionale e internazionale”, seguendo un approccio oggettivo ed analitico che lo ha portato nel corso dei suoi due secoli di storia a divenire un punto di riferimento nella comunità strategica globale. In questo sforzo, è dunque naturale che l’istituto dedichi ampia parte delle sue risorse economiche ed intellettuali allo studio della Federazione Russa (così come faceva già ai tempi dell’Unione Sovietica, e ancora prima dell’impero zarista), per via della sua primaria rilevanza geopolitica e dell’importanza del suo apparato militare in tutti i suoi gradi di “convenzionalità”.
“Il dialogo tra esperti di sicurezza è fondamentale per garantire la sicurezza regionale e globale, e persino l’Unione Sovietica era impegnata in questo dialogo. Deploriamo la decisione unilaterale di Mosca di imporre questo divieto e la consideriamo un passo indietro che mina il dialogo, la conoscenza e la sicurezza reciproca”, ha affermato la direttrice generale del Rusi, Rachel Ellehuus, nella dichiarazione ufficiale rilasciata in risposta alla decisione di Mosca. Ellehuus ha sottolineato il ruolo dell’istituto da lei diretto “nell’informare, influenzare e migliorare il dibattito pubblico, anche all’interno della Russia, per contribuire a costruire un mondo più sicuro e stabile”, aggiungendo poi che “questo divieto fa parte di una campagna molto più ampia volta a sopprimere il dissenso, smantellare la società civile in Russia e impedire il controllo delle attività dello Stato. L’obiettivo di questa azione non è quello di mettere a tacere il Rusi, ma di soffocare il dibattito interno sul governo russo”.