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Palestina, la linea di Meloni è buonsenso. La versione di Marattin

Il riconoscimento della Palestina non può essere un atto simbolico né incondizionato. Per Luigi Marattin, deputato del Partito Liberaldemocratico, serve una sequenza chiara: rilascio degli ostaggi, fine delle operazioni militari e una governance palestinese libera da Hamas. Dal Medio Oriente alle mobilitazioni studentesche, il parlamentare denuncia una politica che alimenta la rabbia anziché governarla

Mentre l’Europa si divide sul riconoscimento della Palestina, l’Italia sceglie una via distinta, legando ogni passo al rilascio degli ostaggi e a una governance palestinese libera da Hamas. Una posizione che fa discutere, ma che per Luigi Marattin, deputato del Partito Liberaldemocratico, rappresenta l’unica scelta di buon senso. In questa intervista a Formiche.net, l’ex economista di governo ragiona sulle insidie della politica estera, sull’ambiguità delle piazze occidentali e sul rischio di un dibattito pubblico sempre più avvelenato.

Onorevole Marattin, la premier sulla questione del riconoscimento dello stato di Palestina ha assunto una posizione diversa dagli altri leader europei. Ha infatti detto che tale riconoscimento deve essere subordinato innanzitutto al rilascio degli ostaggi. Una posizione sbilanciata a favore di Israele o di buon senso?

È la posizione che noi, come Partito Liberaldemocratico, abbiamo assunto lunedì scorso. Il riconoscimento incondizionato, oggi, dello Stato di Palestina sarebbe un gesto simbolico e sbagliato. Simbolico perché non esiste uno Stato da riconoscere, e sbagliato perché sarebbe un ovvio premio ad Hamas e alle sue azioni criminali. Abbiamo detto in quel nostro post sui social che serve “la giusta sequenza di eventi”: il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas – e quindi la contestuale fine delle operazioni militari israeliane a Gaza – e la definizione di una governance palestinese assolutamente libera da Hamas e da ogni altro movimento terrorista che predichi la distruzione di Israele. A quel punto, è giusto che la comunità internazionale riconosca lo stato di Palestina. Sarebbe probabilmente un gesto ancora simbolico, ma almeno in quei modi e tempi sarebbe giusto. Il giorno dopo la nostra posizione, la premier Meloni ha annunciato la presentazione di una mozione che dice esattamente la stessa cosa. Siccome noi siamo gente seria, e pensiamo che la politica sia una cosa seria, come potremmo mai smentire noi stessi non votando quella mozione?

Ci sono le condizioni, realisticamente, per creare uno Stato palestinese libero dal giogo di Hamas? E in questo senso la posizione italiana potrebbe rafforzare uno sforzo politico oltre che diplomatico?

Che la Palestina debba essere libera da Hamas lo ha detto, qualche settimana fa, addirittura la Lega Araba. Non proprio l’organizzazione sionista internazionale, ecco. Paradossalmente, nel momento in cui Hamas perde l’appoggio degli stati arabi, sembra guadagnare quello delle opinioni pubbliche occidentali, o parte di esse. In Occidente infatti sta avvenendo un fenomeno strano. Intendiamoci, per la stragrande maggioranza si tratta solo di persone inorridite dalle atrocità della guerra, e che vogliono vederla finita, persino indipendentemente da chi l’abbia scatenata (Hamas) o chi in passato (fino a 50 anni fa gli stati arabi della regione, poi ancora Hamas) abbia sistematicamente rifiutato tutti i tentativi di realizzare la soluzione “due popoli, due Stati”. Ma purtroppo c’è anche qualcosa di più. C’è, da parte di una minoranza ma molto rumorosa, il tentativo di identificare la questione palestinese come un fronte dell’eterna battaglia “contro il sistema”, qualunque cosa questo voglia dire. E allora si cerca di convogliare su questo fronte tutto il disagio sociale che i Paesi occidentali, che ancora non hanno ben capito come affrontare il nuovo mondo globalizzato, stanno sperimentando. Infine, e questa è una minoranza grazie a Dio ancora più piccola, sono convinto che ci sia anche una buona dose di antisemitismo.

Fassino sostiene che la posizione di Meloni sia un primo passo, mentre Schlein dopo l’informativa di Crosetto ha criticato la premier duramente. Il Pd sul Medio Oriente è in stato confusionale?

Grazie a Dio quel che succede nel Pd non mi riguarda più, e quindi non mi permetto di mettere bocca in casa d’altri. Quel partito, oggi, non è neanche un lontanissimo parente di quello che, da semplice dirigente locale, contribuì a fondare nel 2008. È diventato una cosa completamente e radicalmente diversa.

Dopo l’attacco alla Flotilla l’Italia ha mandato in supporto una fregata della Marina, ma la premier ha detto apertamente che la missione umanitaria per come si sta svolgendo è più che altro il tentativo di mettere in difficoltà il governo. Lei come la vede?

Di nuovo, probabilmente su quelle navi ci sono tante persone in buona fede che vogliono solo dare il loro piccolissimo contributo alla causa umanitaria. Che, ripeto, a Gaza come in tutti i luoghi di conflitto – specialmente quelli dove una delle parti si nasconde vigliaccamente tra la popolazione civile – mostra in tutta la sua evidenza tragedie e disperazione. Ma indubbiamente a muovere l’operazione Flotilla c’è anche una gigantesca operazione di propaganda e manipolazione della realtà. Avremo a breve, comunque, un test: se accetteranno di non entrare nella zona di conflitto e scaricare gli aiuti umanitari (che sono comunque una minuscola frazione di quelli che già oggi entrano ogni giorno a Gaza) in zone sicure in modo che possano poi essere veicolati in sicurezza a Gaza, avranno dimostrato la loro buona fede. Se invece faranno scelte diverse (e potenzialmente pericolose per la sicurezza di tutti), beh, avremo anche in quel caso la risposta.

Nel dibattito pubblico ormai si fa sempre più strada un clima di caccia all’ebreo che è frutto spesso della totale confusione tra Israele, governo ed ebrei stessi. Come ricondurre il tutto a un alveo di maggiore buonsenso?

Sono tempi davvero strani quelli che stiamo vivendo. Nel mondo abbiamo sdoganato l’aggressione militare di un Paese ai danni di un altro (penso all’invasione russa dell’Ucraina), cosa che non succedeva da decenni. Negli Usa abbiamo un presidente che fa e dice cose che fino a pochi anni fa sarebbero state totalmente impensabili, ma anche l’uccisione di un giovane uomo – dalle idee sicuramente molto discutibili – semplicemente perché aveva opinioni diverse da quelle del giovane che gli ha sparato. In Europa abbiamo partiti populisti e dai dubbi legami internazionali che ormai superano il 30% dei consensi in Francia, in Germania, nel Regno Unito. In Italia alcuni giovani entrano in classe e picchiano un professore perché considerato “vicino agli ebrei”. Ma soprattutto, in giro c’è un clima di rabbia e di intolleranza che personalmente non ho mai visto. Io sono nato alla fine degli anni Settanta, pertanto non ho vissuto il periodo in cui in questo Paese ci si picchiava per strada (o peggio) solo perché si avevano opinioni diverse. Non dico che stiamo tornando lì, ci mancherebbe. Ma dico che non sono equipaggiato ad affrontare quello che inizio a vedere: personaggi dello spettacolo che va in Tv a dire che su un dato argomento – su cui invece abbondano disinformazione e manipolazione – “non ci deve essere contraddittorio, nessuno deve contraddire la Verità”, come ha fatto Enzo Iacchetti. O a dire che sul Medio Oriente “non c’è niente da approfondire”, come disse qualche settimana fa l’attrice Benedetta Porcaroli. Vedo poi un clima politico molto nervoso e a tratti del tutto irresponsabile. Insomma, le mentirei se dicessi di non essere preoccupato. Per superare questo momento servirebbe un sovrappiù di responsabilità da parte della politica e dell’informazione.

Lei in aula ha definito “squadristi” gli studenti che hanno occupato l’aula a Pisa, impedendo al docente di svolgere la lezione. Le immagini della manifestazione alla stazione di Milano raccontano di devastazioni e vetrine spaccate, oltre che di attacchi alle forze dell’ordine. Come si spiega questa chiamata alla mobilitazione costante da parte di un certo mondo, per lo più a sinistra?

Non c’è nulla di male a chiedere le mobilitazioni popolari, se pacifiche e libere. Ma qui temo si stia cercando di fare altro: come dicevo, si indirizza la rabbia sociale (che in un Paese come il nostro, in cui il reddito pro-capite è circa lo stesso di un quarto di secolo fa, è particolarmente accesa) verso l’avversario politico, che diventa il nemico. O semplicemente verso chi non aderisce acriticamente all’opinione prevalente, come nel caso di Gaza. Io stesso, per avere preso una posizione non in linea con quella considerata “la verità”, ricevo tutti i giorni insulti e minacce sui social. Non me ne curo più di tanto, anche perché odio questi vittimismi strumentali. Ma penso che molte forze politiche dovrebbero pensarci due volte prima di usare certi termini in tv o sui giornali, o anche in Parlamento. Compito della politica non è aizzare conflitti fini a se stessi, ma risolvere i problemi delle persone partendo da un’idea di società e da una visione del futuro delle nostre comunità. Ma forse sa qual è il problema? Che “politica” in Italia non significa più questo, ma qualcosa di infinitamente più triste e inutile. E a volte persino pericoloso.


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