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Leone XIV rilancia la tradizione della Dottrina sociale. L’intervento di Pedrizzi

Nel suo incontro con i politici francesi, Papa Leone XIV ha richiamato i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa: unità tra fede e politica, ruolo pubblico del cristianesimo e visione integrale dell’uomo. Un messaggio che va oltre la Francia, e parla all’intera comunità politica. L’intervento di Riccardo Pedrizzi, presidente nazionale del Comitato tecnico scientifico dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti)

È stata una vera e propria lezione di Dottrina sociale della Chiesa quella che qualche giorno fa ha impartito Papa Leone XIV a personalità politiche francesi, ma che evidentemente è rivolta a tutto il mondo politico, nazionale ed internazionale.

Le sue parole ci hanno riportato alla mente i numerosi insegnamenti che ci regalò San Giovanni Paolo II, che a ragione è stato definito il Papa della Dottrina Sociale cattolica. Basterebbe ricordare solo le sue tre grandi encicliche sul tema: “Laborem exercens“, “Centesimus annus” e “Sollecitudo rei socialis“.

Nel pur breve discorso, Papa Leone ha affrontato i punti centrali del magistero sociale:

A) Non può esserci scissione tra fede e politica. “Di fronte agli eccessi di ogni genere che le nostre società occidentali stanno vivendo”, ha detto Leone, “non possiamo fare di meglio, come cristiani, che rivolgerci a Cristo e chiedere il suo aiuto nell’esercizio delle nostre responsabilità” (si ricordi Papa Wojtyla al Convegno della Chiesa italiana di Loreto);

B) il ruolo pubblico del cristianesimo (cfr. sul tema Papa Ratzinger): “Siete chiamati a rafforzarvi nella fede, ad approfondire la dottrina, in particolare quella sociale, che Gesù ha insegnato al mondo, e a metterla in pratica nell’esercizio dei vostri doveri e nella redazione delle leggi. I suoi fondamenti sono in accordo con la natura umana, la legge naturale che tutti possono riconoscere, anche i non cristiani, anche i non credenti. Non dovete quindi aver paura di proporla e difenderla con convinzione: è una dottrina di salvezza che mira al bene di ogni essere umano, alla costruzione di società pacifiche, armoniose, prospere e riconciliate”;

C) La concezione dell’uomo integrale e non vivisezionato. “Non c’è separazione nella personalità di un personaggio pubblico; non c’è da una parte il politico, dall’altra il cristiano. Ma c’è il politico che, sotto lo sguardo di Dio e della sua coscienza, vive i suoi impegni e le sue responsabilità in modo cristiano!”.

Questo porsi del Santo Padre attualmente segnante nella scia della Tradizione di sempre non può non essere salutata positivamente da un’associazione come l’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) che ispira tutta la sua azione alla Dottrina sociale Cattolica.
Il ruolo del cristianesimo infatti si manifesta nella società civile da sempre attraverso un ricchissimo apporto di spiritualità e di azione sociale e politica.

Bisogna partire da questa precisa constatazione ogni qualvolta ci si interroghi sulle finalità dell’impegno cristiano nel mondo.

La politica da sempre è intesa dal laico cattolico come servizio alla persona umana ed alla società.

Già in quella ricchissima e feconda fase storica che fu il Medioevo, caratterizzata da un quotidiano dialogo dell’uomo, attraverso le sue opere sociali, con la dimensione divina della realtà, si sviluppò una profonda riflessione sul ruolo della testimonianza cristiana nella società civile.

Risale a quel periodo la massima del giurista canonista Giovanni BassianoVita militia super terram”, che si può ritenere anche oggi di estrema attualità, posto il contesto di difficile identificazione di un cammino di testimonianza cristiana in un’epoca di arida secolarizzazione dei rapporti sociali.

L’ “ispirazione cristiana” in politica, ci consente di leggere perciò l’impegno politico come “dovere etico”.

Se analizziamo, infatti, l’evoluzione dei rapporti sociali dal ventesimo secolo ad oggi, non possiamo che constatare come il disordine nell’ambito morale abbia progressivamente dilacerato l’animo della società.

In primo luogo, ad esempio, contrapponendo la tecnica e la scienza alla fede. Ancora, omologando tutti i valori etici con la creazione di società multietniche.

Infine, imponendo il dominio della dimensione economica nella vita umana, mortificando persino la dignità della persona.
La contingenza della storia non può, invece, e non deve far dimenticare mai al cristiano impegnato in politica, che la fede religiosa deve sempre tradursi in azione.

Perché solo in questo modo si possono evitare i rischi del cosiddetto “riduzionismo”, della collocazione della fede religiosa del politico in una nicchia di culto privato.

Il successo personale di Papa Giovanni Paolo II era stato, non a caso, il frutto del suo generoso slancio pastorale nel mondo, secondo l’adagio evangelico “… andate e proclamate alle genti…”. Così per la sua testimonianza politica.

Giustamente Romano Guardini, analogamente a Don Giussani, sosteneva che il Cristianesimo è la più “materialista” delle religioni; perché secondo il disegno divino il concetto di storia esige un ideale intelligente.

Per questo si comprende bene perché nel magistero sociale della Chiesa vi è sempre il richiamo all’uomo “concreto”, nella realtà altrettanto concreta del “popolo”.

È evidente che queste riflessioni e queste valutazioni divenute di estrema attualità in questo periodo facciano storcere il naso ai più intransigenti laicisti dei nostri giorni che mal digeriscono parole come quelle pronunciate dal Santo Padre in occasione del suo incontro con una delegazione di politici e personalità civili della diocesi francese di Créteil, in pellegrinaggio a Roma che affermano che è proprio la politica il luogo privilegiato in cui il cristiano è chiamato ad inverare il suo credo, a mettere alla prova la sua fede in forma di servizio e di impegno.

E questo timore che i cattolici possano, grazie alla forza del loro credo, incidere in misura determinante sullo sviluppo della società, è stato sempre il cruccio dell’anticlericalismo occidentale.


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