I simboli contano, e le priorità culturali si indicano anche con i simboli. Difficile che Lampedusa possa essere il primo viaggio di papa Leone, ma intanto sappiamo che è sua intenzione andarvi, e le intenzioni contano, vanno considerate, capite. La riflessione di Riccardo Cristiano sul videomessaggio del pontefice inviato alla presentazione della candidatura del progetto “Gesti dell’accoglienza”, dell’isola siciliana, alla lista del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco
Papa Leone XIV ha reso noto di volersi recare a Lampedusa, presto. Lo ha fatto in un videomessaggio inviato della presentazione della candidatura del progetto “Gesti dell’accoglienza”, di Lampedusa, alla lista del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Perché? Lo ha detto subito: “Voi siete un baluardo di quell’umanità che le ragioni gridate, le paure ataviche e i provvedimenti ingiusti tendono a incrinare. Non c’è giustizia senza compassione, non c’è legittimità senza ascolto del dolore altrui”. Vale la pena di approfondire, pensando anche “cosa avrà detto questo discorso ai suoi concittadini statunitensi?”.
L’intenzione del papa infatti acquista più rilievo se si considera che si sa di diversi viaggi allo studio; si è detto che il primo dovrebbe aver luogo a fine novembre e condurlo a Nicea, in Turchia, per celebrare i 1700 anni dal primo Concilio Ecumenico, cioè di tutti i cristiani e quindi orientato chiaramente a confermare l’orizzonte del cosiddetto “dialogo ecumenico” tra cristiani per avvicinare la loro unità, una scelta che era stata annunciata da papa Francesco. Quel viaggio lo porterebbe anche in Libano, cioè nel teatro della tragedia del Levante, devastato da guerre interminabili e anche questo era un viaggio allo studio di Francesco, poi non effettuato per le sue condizioni di salute, sempre peggiori. Il calendario di cui si è parlato riguarda tutto il suo primo anno di pontificato, comprende Stati Uniti, Argentina e altre destinazioni, ma nessuno vi aveva sin qui inserito Lampedusa. Lo ha fatto lui, visto che quel “spero di venire presto in presenza, di persona” da voi, se legittima la speranza che sia il primo – di tempo da qui a fine novembre ce ne sarebbe – proprio come fu per Francesco, non sembra indicare che possa aver luogo più in là di un anno.
Ma non è la data la cosa importante, anche se sarebbe significativo inaugurare i suoi viaggi con una visita a Lampedusa, definita insieme alla vicina Linosa “porta d’Europa”. Sarebbe importante perché i simboli contano, e le priorità culturali si indicano anche con i simboli. Difficile, molto difficile che possa andare così, inaugurare i suoi viaggi con quello a Lampedusa, la porta d’Europa. Ma intanto sappiamo che è sua intenzione andarvi: e le intenzioni contano, vanno considerate, capite. Allora si deve tornare al motivo che ha indotto Leone a far sapere di voler andare a Lampedusa, alla quale ha riconosciuto il merito di una costante, ammirabile, apertura all’accoglienza, anche se si potrebbe pensare che è solo una goccia nel mare, mentre a suo avviso è molto di più.
Leone ha ricordato che Francesco parlò di “globalizzazione dell’indifferenza” e poi l’ha qualificata come “globalizzazione dell’impotenza”. Il refrain è che le cose sono sempre andate in un certo modo, “la globalizzazione dell’impotenza è figlia di una menzogna: che la storia sia sempre andata così, che la storia sia scritta dai vincitori. Allora sembra che noi non possiamo nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”. Il suo invito a resistere alla globalizzazione dell’impotenza, così almeno percepita da molti, si basa sulla convinzione di cui si è detto in apertura, al quale ha aggiunto che “parecchi fratelli e sorelle migranti sono stati sepolti a Lampedusa, e riposano nella terra come semi da cui vuole germogliare un mondo nuovo”.
L’intenzione di Leone va capita in modo più ampio: non c’è solo il filo – decisivo – di collegamento con Francesco, c’è anche la sua storia, e tutti ne abbiamo parlato come del primo papa americano, e negli Stati Uniti, il Paese in cui è nato, la questione migratoria non è certo irrilevante. La sua stessa città di nascita, Chicago, è al centro della tormenta della grande deportazione.
Dunque l’intenzione di Leone riafferma che il cammino prosegue, la Chiesa su questo ha fatto una scelta che non è in discussione, come sull’ecumenismo, cioè il dialogo, l’incontro. Non è un caso che nel videomessaggio dica anche: “Il mio grazie, che è il grazie di tutta la Chiesa per la vostra testimonianza, prolunga e rinnova quello di Papa Francesco. Grazie ad associazioni, volontari, sindaci, amministrazioni che nel tempo si sono succeduti; sacerdoti, medici, forze di sicurezza e tutti coloro che, spesso invisibilmente, hanno mostrato e mostrano il sorriso e l’attenzione di un volto umano a persone sopravvissute nel loro viaggio disperato di speranza”.
L’intenzione di andare a Lampedusa e le parole con cui è stata spiegata ci confermano l’orizzonte del papa americano, ma forse sarebbe più giusto definirlo il primo papa “panamericano”, vista la sua lunghissima esperienza missionaria in Perù, dove è diventato vescovo e di cui aveva la cittadinanza.