Skip to main content

Perché dobbiamo riflettere sulla stretta di mano filorussa di Salvini (all’ambasciata cinese)

La stretta di mano di Matteo Salvini con l’ambasciatore russo a Roma si inserisce in un quadro di tensioni Nato e pressioni interne sulla missione in Polonia. L’Italia resta impegnata sul fianco orientale, ma la linea più morbida verso Mosca solleva dubbi di credibilità

Il dibattito interno sull’atteggiamento verso la Russia sta avendo effetti anche sulla politica di difesa italiana. La stretta di mano tra il vicepremier, ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini e l’ambasciatore russo Alexei Paramonov è avvenuta mentre il governo decideva di fare un passo indietro sulla partecipazione alla nuova missione Nato in Polonia. L’Italia resta impegnata sul fianco orientale dell’Alleanza, ma la linea più morbida rischia di indebolire la sua credibilità, mentre la penetrazione narrativa di Mosca si fa sentire anche sul piano culturale.

Mercoledì Salvini è stato visto salutare l’ambasciatore russo al ricevimento organizzato dall’Ambasciata cinese al Parco dei Principi Grand Hotel, in occasione del 76° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e del 55° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Roma e Pechino. Un evento a cui Salvini ha già partecipato in passato e che porta con sé il messaggio politico di un Paese che diffonde in Italia una narrativa anti-occidentale, in sintonia con Mosca. Intervistato da Telelombardia, Salvini ha difeso il gesto come un atto di cortesia: “Se vai ospite a casa di qualcuno e qualcuno ti saluta, lo saluti… Preferisco una stretta di mano a uno sguardo rabbioso. Se invece si parla solo di guerra e si assumono militari per mandarli a morire al fronte, non è il mio obiettivo e credo di nessuno”.

Il contesto russo

Poche ore prima, l’ambasciatore Paramonov aveva attaccato l’Italia accusando il governo di alimentare un clima “allarmistico” sulle minacce di Mosca e di giustificare così l’aumento delle spese militari. Ha definito la campagna mediatica italiana aggressiva e funzionale al governo di Volodymyr Zelensky, colpevole – secondo la narrativa russa – di voler trascinare la Nato in uno scontro diretto con la Russia. Paramonov ha ammonito Roma a non lasciarsi trascinare da quello che ha definito “il regime criminale di Kyiv”.

La decisione sulla Nato

In questo quadro, secondo la stampa italiana, il governo ha deciso di non partecipare alla missione “Eastern Sentry” con l’invio di due Eurofighter in Polonia. La missione, varata dopo l’incidente dei droni, è destinata a rafforzare la difesa aerea del fianco orientale dell’Alleanza. La scelta sarebbe maturata sotto la pressione di Salvini, contrario a un’esposizione diretta in Polonia e sostenitore di un approccio più dialogante con Mosca. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani – vicepremier e parigrado di Salvini – hanno preferito trovare un compromesso per preservare l’unità della coalizione. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha invece scelto la via tecnica, sottolineando che l’Italia resta comunque uno dei principali contributori Nato sul fronte orientale, ricordando la presenza dei contingenti in Bulgaria, Ungheria, Lettonia ed Estonia, con assetti strategici come i caccia F-35 e i sistemi Samp/T.

Perché conta

La penetrazione russa in Italia non si limita alla sfera politica. Il 23 settembre al Senato verrà presentato uno studio dell’Istituto Gino Germani che documenta come manuali scolastici di storia e geografia delle scuole medie abbiano recepito narrazioni vicine al Cremlino su Donbas, Crimea, accerchiamento Nato e identità ucraina. Un dato preoccupante, perché influenza la percezione delle nuove generazioni e rivela vulnerabilità culturali profonde. In questo scenario, più che stringere la mano a un rappresentante di Mosca, sarebbe utile adottare una linea ferma e coerente contro l’influenza russa, che oggi combina penetrazione narrativa e destabilizzazione militare in Europa.


×

Iscriviti alla newsletter