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Putin, il predatore, is back. Arditti spiega perché ora

Pensare di fermare Putin con sanzioni blande o diplomazia morbida è un’illusione. L’attacco al volo di von der Leyen è un monito: la guerra ibrida colpisce ovunque, dai cieli alle infrastrutture. L’Europa deve smettere di scrivere lettere e passare ai fatti: rafforzare Galileo come alternativa al Gps, investire miliardi in cyber-difesa, coordinarsi con la Nato senza esitazioni

Putin is back, e non chiede permesso. Il 31 agosto, l’aereo con Ursula von der Leyen, diretto a Plovdiv, Bulgaria, è stato colpito da un’interferenza Gps attribuita a Mosca, costringendo i piloti a navigare con mappe cartacee per un’ora. Un attacco ibrido che parla chiaro: “Vi colpisco quando voglio”, non senza una qualche tonalità da presa in giro (del tipo vi faccio perdere la bussola). E mentre Putin gioca duro, dall’Alaska a Pechino, l’Europa risponde con comunicati stampa. Diciamolo chiaro: così abbiamo già perso.

La “rinascita” di Vladimir Putin è un discreto capolavoro. In Alaska, il 15 agosto, ha incontrato Trump per discutere un cessate il fuoco in Ucraina, uscendone senza firme ma con l’aura del vincitore. A Pechino, il 2 settembre, era al fianco di Xi Jinping e Kim Jong-un durante una parata militare dove la Cina ha sfoggiato missili DF-61 e DF-5C, simbolo di un asse anti-occidentale sempre più solido. Non sono alleati naturali, ma di convenienza: a nessuno di loro piace il nostro modo di gestire il potere.

Perché accade ora? Perché Putin sa stare al gioco delle grandi potenze come nessuno. In Ucraina, da oltre tre anni, non vince la guerra (che doveva durare una settimana) ma macina terreno con artiglieria e droni, fregandosene delle perdite. Nelle operazioni di intelligence, orchestra hackeraggi e interferenze elettorali che l’Occidente denuncia ma non ferma. Nella guerra ibrida, mescola propaganda, cyberattacchi e migrazioni pilotate per destabilizzare l’Europa. E con i media occidentali? Li manipola, li irride con interviste selettive e fake news che rimbalzano ovunque.

Nelle relazioni diplomatiche, è un cattivo astuto ma solido: può restare sulle sue posizioni per anni, ma anche cambiare rapidamente atteggiamento. Stringe patti con la Cina per un nuovo gasdotto nonostante le sanzioni, e con la Corea del Nord per armi e manodopera. L’incontro in Alaska? Un capolavoro: nessun accordo, ma Putin ridisegna l’ordine globale, mentre l’America tentenna.

Quindici, vent’anni fa, Putin aveva una certa soggezione dell’Occidente. Oggi non più. Lo stesso vale per Xi e Modi: a Pechino non si celebrava un’amicizia, ma un patto contro un sistema globale che disprezzano.

Peraltro Putin non guida i Brics, non è così forte. Ma non ne ha bisogno: sa giocare le sue carte meglio di chiunque altro. Con un controllo assoluto in patria (ogni spazio al dissenso è ormai negato con la forza), cavalca il malcontento globale contro l’egemonia occidentale (che in realtà sta svanendo), sfruttando i Brics come piattaforma per un mondo multipolare.

In Ucraina non ha stravinto militarmente, ma politicamente è un gigante: ha costretto l’Occidente a negoziare, ha cementato alleanze con Cina e Corea del Nord, e ride mentre noi litighiamo sugli aiuti a Kyiv.

Gli ucraini, tutto sommato, hanno capito Putin meglio di noi. Non si limitano a comunicati: rispondono colpo su colpo (o almeno ci provano), colpendo raffinerie e depositi di petrolio russi per appesantirne l’economia. Zelensky non twitta, agisce: droni su infrastrutture chiave, incursioni oltre confine, una strategia che punta a indebolire Mosca dove fa male.

Pensare di fermare Putin con sanzioni blande o diplomazia morbida è un’illusione. L’attacco al volo di von der Leyen è un monito: la guerra ibrida colpisce ovunque, dai cieli alle infrastrutture. L’Europa deve smettere di scrivere lettere e passare ai fatti: rafforzare Galileo come alternativa al Gps, investire miliardi in cyber-difesa, coordinarsi con la Nato senza esitazioni. Putin non è un santo, è un predatore. Ma è anche un leader che sa proporre una visione. E in un mondo dove la forza parla più delle parole, lui, Xi e Modi giocano duro e vincono.


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