Dal festival “Summer in Moscow” alla parata di Pechino, la Russia mostra come la propaganda possa operare su due livelli: distrarre la popolazione interna dalla guerra e, allo stesso tempo, presentarsi all’estero come parte di un blocco alternativo all’Occidente
Storicamente, la propaganda rappresenta uno degli aspetti fondamentali per la sopravvivenza e l’espansione di qualsivoglia sistema politico. Essa permette di offrire agli individui una lettura del passato e del presente, nonché un’ambizione per il futuro, avvicinandoli così alla propria causa; allo stesso tempo, grazie alla retorica propagandistica un sistema politica riesce a delineare la propria identità e di suoi confini, affermando cosa è e cosa non è; ancora, è tramite l’attività propagandistica che si riesce a veicolare messaggi più o meno impliciti tanto al proprio interno quanto verso l’esterno, focalizzando l’attenzione su qualcosa o viceversa distraendola da essa. Tutti gli attori statali, chi più, chi meno, portano avanti la propria propagandistica, ma per alcuni questa attività ha un valore maggiore degli altri. In quest’ultimo gruppo, è facile collocare la Federazione Russa.
Negli scorsi mesi a Mosca si è tenuto il “Summer in Moscow” festival, una kermesse incentrata su molteplici attrazioni ed attività di carattere artistico, letterario, musical e sportivo. Ovviamente, una delle motivazioni dietro all’organizzazione di un simile evento è quella di distogliere l’attenzione della popolazione dal conflitto in Ucraina, che nonostante le iniziali dichiarazioni si protrae da oramai tre anni e mezzo. Ma la questione non è solo di panem et circensem. Scrivendo sul New York Times, la giornalista Katrin Bennhold riporta un episodio significativo. Uno dei padiglioni del festival, il cui scopo era quello di fornire ai partecipanti una “rappresentazione realistica” della metropolitana di New York: “Le luci al neon tremolano in un tunnel buio. Il pavimento è sporco. In un angolo si è formata una pozza di acqua fognaria. ‘Benvenuti in America!’, grida in inglese un attore che interpreta un venditore ambulante dagli occhi spiritati che vende borse di marca contraffatte” è la descrizione che Bennhold fornisce della scena che si presentava ai visitatori del padiglione. La cui uscita portava direttamente ad una delle stazioni della (bellissima) metro moscovita, pulita, ordinata, e priva di personaggi inquietanti. È chiaro quale messaggio si volesse trasmettere, in un interessante esempio di propaganda “domestica” utilizzata per neutralizzare la propaganda “estera”: non importa cosa dica, l’Occidente è senza dubbio un posto peggiore in cui vivere rispetto alla Russia. Ovviamente, la questione non è limitata soltanto alle mere condizioni di vita, ma alla stabilità del sistema in sé.
Sempre, anche se non esclusivamente, con le lenti della retorica si può leggere quanto avvenuto nei giorni scorsi in Cina, dove Vladimir Putin, Xi Jinping e Kim-Jong-Un si sono riuniti assieme in occasione della parata per la celebrazione della fine della Seconda guerra mondiale. Un’occasione che è servita anche a mandare il messaggio che il blocco occidentale non è l’unico, e che c’è un’alternativa. Mentre l’Occidente euroatlantico si riunisce a Washington per discutere sul da farsi in Ucraina, per celebrare la propria alterità rispetto all’Occidente il blocco euroasiatico si riunisce a Pechino, ma anche a Tiangxing: la foto che ritrae assieme Xi, Putin e Narendra Modi vale più di mille parole. E questo il Cremlino lo sa.