La Shanghai Cooperation Organization sta ridisegnando l’ordine globale. Per l’Italia è al tempo stesso una sfida e un’opportunità, spiega Marco Di Liddo, direttore del Cesi. Il vertice di Tianjin mostra l’avanzata della multipolarità, e come Roma dovrebbe modellare il proprio posto nel sistema internazionale che si sta creando
Il vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco) di Tianjin è l’ultima manifestazione di un processo che punta a ridisegnare l’ordine internazionale. Una sfida diretta al sistema costruito dopo il 1945 e riadattato negli anni successivi seguendo sempre una centralità occidentale, che per l’Italia e per l’Europa porta con sé rischi ma anche opportunità. Sul tema, priorità delle relazioni internazionali attuali e future, ragiona Marco Di Liddo, direttore del CeSI, che a Formiche.net spiega che “bisogna scegliere tra la subordinazione o il prendersi dei rischi, ma con la possibilità di ottenere opportunità di sviluppo, quindi di ricchezza e di ruolo internazionale superiore”.
Secondo Di Liddo, “la riunione della Sco si colloca all’interno di quel filone consolidato da circa un decennio che vede i Paesi non occidentali cercare formule nuove (e vecchie) per creare una governance alternativa a quella occidentale”. Non si tratta di un percorso semplice, perché “scardinare un ordine internazionale costruito all’indomani di un conflitto mondiale non è mai facile: i vincitori impongono le regole ai vinti, che devono accettarle. Oggi, invece, assistiamo a una transizione segnata da tanti focolai di crisi, piccole scosse di assestamento che nel loro insieme stanno ridefinendo gli equilibri globali”.
La Sco, insieme ad altri sistemi multilaterali Brics non centrati sull’Occidente, e in generale al più ampio movimento del Sud Globale, rappresenta un esperimento in questa direzione. “Non dobbiamo guardare a queste forme con i nostri occhi, quelli dell’Occidente”, sottolinea Di Liddo. “Non abbiamo davanti copie della Nato ma piattaforme a geometria variabile, in cui si conciliano interessi comuni pur nella consapevolezza delle divisioni interne. Il collante è la volontà di porre fine all’egemonia euro-atlantica”. Finché questo collante dura, il processo continua.
Dal vertice di Tianjin è emerso in particolare un tentativo di riduzione della conflittualità tra Cina e India. “È il dato più importante”, dice Di Liddo. “Due potenze in competizione cercano una formula di coesistenza che avvantaggi entrambe e che soprattutto isoli il tentativo statunitense di dettare legge nell’Indo-Pacifico”. Per l’India, infatti, “non è accettabile un ruolo di subalternità: non vuole trasformarsi nel vascello che gli Stati Uniti utilizzano per piantare la loro bandiera nella regione più prolifica del mondo”.
È qui che entra in gioco l’Europa, con un occhio particolare l’Italia. Se il mondo si muove verso la multipolarità, il rischio è che il Vecchio continente venga marginalizzato, perché “non riesce a osare”. Ma c’è anche una possibilità di rilancio, a condizione di non restare passivi. “Questo movimento generale può trasformarsi in un’opportunità, anche direttamente per l’Italia”, spiega Di Liddo, “a patto di aumentare il nostro gradiente di autonomia e massimizzare i nostri interessi e margini di manovra, che oggi sono pochi ma che possono crescere se ci assumiamo la responsabilità di scelte politiche: la scelta è tra una tranquilla subordinazione a logiche tradizionali o prendersi dei rischi, ma con la possibilità di ottenere opportunità di sviluppo e di ruolo internazionale superiore”.
La relazione con Nuova Delhi diventa in questo senso cruciale. “Il rafforzamento dell’India passa anche attraverso il dossier di Imec (il corridoio che connetterà India, Medio Oriente ed Europa, ndr), perché l’India è il polo attorno a cui noi vogliamo costruire la nostra proiezione asiatica e indo-pacifica”. Ma per il direttore del CeSI, “non dobbiamo del tutto chiudere la porta al dialogo con la Cina, secondo una tradizione della nostra diplomazia sempre incline alle aperture”. Il suggerimento davanti a queste macro-tematiche è quello di una politica estera pragmatica, “per tradizione e vocazione capace di sfruttare le opportunità che diversi teatri offrono”, che può consentire a Roma di inserirsi nei processi in corso.
La prospettiva, dunque, è duplice: cogliere le opportunità della transizione globale e proteggersi dai suoi rischi, tenendo ferma la barra sull’unità dell’Occidente. Ossia, come conclude Di Liddo, “sta a noi decidere se restare subordinati o correre dei rischi. Ma solo correndo dei rischi possiamo ottenere nuove opportunità di sviluppo, ricchezza e ruolo internazionale”.