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Corsa agli abissi. Stati Uniti e Cina portano la rivalità geopolitica sottacqua

Negli oceani dell’Indo-Pacifico prende forma una corsa silenziosa tra Washington e Pechino. La Cina modernizza rapidamente la sua flotta, puntando su sottomarini sempre più avanzati e su droni subacquei di nuova generazione, mentre gli Stati Uniti mantengono la superiorità tecnologica ma faticano con la produzione

La rivalità tra Stati Uniti e Cina si sta sempre più spostando negli abissi. Pechino è infatti vicina a diventare una potenza sottomarina di livello mondiale, grazie a una flotta in rapida crescita, dotata di nuove tecnologie che la rendono più silenziosa, veloce e capace di restare immersa più a lungo. Inoltre, negli ultimi anni, la Marina cinese ha costruito sempre più basi per i suoi sottomarini, con l’obiettivo di rafforzare i pattugliamenti nelle acque regionali, ma anche di garantire una power projection ben oltre questi settori. A questa espansione corrisponde la risposta statunitense: Washington mantiene circa il 60% della sua forza sottomarina globale nell’Indo-Pacifico e ha dispiegato nella regione diversi sottomarini d’attacco della classe Virginia. “I sottomarini sono molto preziosi perché rappresentano un modo relativamente leggero per proiettare una potenza significativa”, sottolinea Jennifer Kavanagh, ricercatrice del think tank Defense Priorities, “Non richiedono un numero elevato di personale statunitense. Non espongono gli aerei e le navi di superficie alla vulnerabilità dei missili cinesi”.

Nel caso di un’invasione cinese di Taiwan, i sottomarini avrebbero un ruolo cruciale. Pechino potrebbe impiegare le unità convenzionali per difendere le coste e i nuovi sottomarini nucleari per impedire a Washington di intervenire in soccorso di Taipei. Gli Stati Uniti, dal canto loro, potrebbero usare i propri battelli per colpire le navi cinesi, bloccarle nello Stretto di Taiwan o lanciare missili contro obiettivi terrestri. Inoltre, in un eventuale conflitto, i sottomarini avrebbero un ruolo decisivo nel difendere (o bloccare) le rotte commerciali attraverso stretti e chokepoint strategici. Come osserva in un commento riportato dal Wall Street Journal Peter Jennings, direttore di Strategic Analysis Australia ed ex vicesegretario della difesa australiana, “Praticamente tutti i Paesi che aspirano ad avere una marina militare decente nell’Indo-Pacifico stanno costruendo sottomarini o acquistando sottomarini. Non c’è dubbio che siano molto utili”.

Fino a pochi anni fa la flotta subacquea cinese era nettamente inferiore rispetto a quella statunitense. Ma oggi lo scenario sembra essere radicalmente cambiato. Secondo Brent Sadler, veterano della Marina Usa e ricercatore della Heritage Foundation, la Cina “potrebbe essere sul punto di compiere un salto tecnologico nelle operazioni sottomarine, che le consentirebbe di rendere i sottomarini molto più silenziosi e quindi molto difficili da localizzare”. Inoltre, la People’s Liberation Army Navy sta puntando sempre di più sulla dimensione unmanned anche per quel che riguarda la dimensione sottomarina: durante l’ultima parata militare a Pechino sono stati mostrati droni subacquei di nuova generazione, tra cui un modello capace di funzionare come sottomarino e un altro simile a un siluro autonomo.

Dal canto loro gli Stati Uniti, pur mantenendo un vantaggio tecnologico con unità più silenziose e avanzate, si scontrano con gravi difficoltà produttive. I cantieri navali hanno capacità limitate, la manutenzione accumula ritardi e la costruzione dei nuovi sottomarini d’attacco non procede al ritmo necessario. Il piano Aukus, siglato nel 2021, dovrebbe portare l’Australia ad acquistare sottomarini nucleari statunitensi e a sviluppare un nuovo modello insieme al Regno Unito, ma la revisione del programma è in corso e i tempi rischiano di allungarsi ulteriormente.

 


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