I tentativi di dialogo negoziali sono naufragati e gli E3 hanno reintrodotto le sanzioni previste dall’accordo del 2015 sul nucleare. Il Jcpoa, che permetteva questo sistema di “snapback”, sembra del tutto naufragato e mentre il presidente Pezeshkian parla di misure ingiuste, da Teheran potrebbero muoversi reazioni ibride
A dieci anni dalla loro revoca, le sanzioni economiche e militari delle Nazioni Unite contro l’Iran sono state reintrodotte. La decisione arriva dopo che Regno Unito, Francia e Germania – i cosiddetti E3 – hanno attivato il meccanismo di “snapback” previsto dall’accordo sul nucleare del 2015 (noto con l’acronimo “Jcpoa”), accusando Teheran di “escalation nucleare continua” e di mancanza di cooperazione.
La posizione europea
La scelta dei tre Paesi europei è maturata dopo il fallimento dei colloqui avvenuti a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu. I ministri degli Esteri hanno dichiarato di non avere avuto “alcuna scelta” di fronte alle violazioni iraniane e alla mancata collaborazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea). In particolare, Teheran non ha consentito agli ispettori di rientrare nei siti nucleari né ha fornito un rapporto aggiornato sulle scorte di uranio arricchito ad alto livello.
Pur sottolineando che “le sanzioni non rappresentano la fine della diplomazia”, gli E3 hanno avvertito l’Iran di astenersi da nuove mosse destabilizzanti, lasciando aperto uno spiraglio per futuri negoziati.
La reazione iraniana
Teheran ha definito “illegali e ingiustificate” le misure e minacciato risposte “ferme e adeguate” contro chi intende minarne i diritti. Il presidente Masoud Pezeshkian ha respinto l’ipotesi di un ritiro dal Trattato di non proliferazione, pur avvertendo che la riattivazione delle sanzioni rischia di compromettere il dialogo. Ha inoltre respinto la proposta americana di cedere l’intero stock di uranio arricchito in cambio di una deroga temporanea di tre mesi, considerandola una “trappola”.
Pezeshkian ha chiesto garanzie sulla sicurezza dei siti nucleari, dopo i bombardamenti compiuti a giugno da Stati Uniti e Israele contro strutture nucleari e basi militari iraniane. Teheran sostiene che tali attacchi abbiano “cambiato radicalmente la situazione”, rendendo obsoleto l’impianto dell’accordo.
Un accordo in crisi da anni
Il Jcpoa, firmato nel 2015 e salutato come una svolta storica, imponeva limiti precisi al programma nucleare iraniano in cambio della rimozione delle sanzioni internazionali. La tenuta dell’intesa è però stata minata nel 2018, quando Donald Trump ritirò unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo, accusandolo di essere “difettoso” e avviando una politica di massima pressione.
Da allora, Teheran ha progressivamente intensificato le attività proibite, accumulando riserve di uranio arricchito ben oltre i limiti consentiti. La recente ripresa, seppur parziale, delle ispezioni Iaea non ha dissipato i timori occidentali.
Prospettive
Il ritorno delle sanzioni Onu segna un ulteriore passo indietro nella già fragile architettura negoziale. Gli europei insistono sul fatto che la diplomazia resta l’unico strumento, ma la sfiducia reciproca è ai massimi livelli.
Se da un lato Teheran ribadisce che il suo programma nucleare ha fini esclusivamente pacifici, dall’altro Stati Uniti, Israele e partner europei restano convinti che l’Iran miri a dotarsi di capacità militari, rafforzando nel contempo i suoi proxy regionali.
Con le tensioni in Medio Oriente in piena escalation, la partita sul nucleare iraniano torna così a essere un nodo critico per la sicurezza globale.