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Tra piazza e instabilità politica. Cosa c’è dietro il caos in Nepal

La crisi nepalese è più di un episodio locale. È lo specchio di un Paese intrappolato tra instabilità interna e pressioni esterne: la competizione tra India e Cina, il peso delle nuove generazioni, il conflitto fra tecnologia e tradizione. Un intreccio che rende le piazze di Kathmandu un laboratorio politico osservato con attenzione da tutta la regione

Il primo ministro del Nepal, K.P. Sharma Oli, ha rassegnato le dimissioni dopo che le proteste di piazza, le più violente dal 2006, hanno provocato 19 morti e centinaia di feriti. A Kathmandu i manifestanti hanno cercato di assaltare il Parlamento: la polizia ha risposto con idranti e gas lacrimogeni, ma in seguito ha sparato. L’esercito ha assunto il controllo della sicurezza con coprifuochi e pattugliamenti, senza tuttavia dichiarare formalmente la presa del potere.

La mobilitazione è stata innescata dalla decisione del governo di bloccare 26 piattaforme digitali, tra cui Facebook, YouTube e Instagram, per il mancato rispetto dell’obbligo di registrazione presso il ministero delle Comunicazioni. Solo cinque servizi, fra cui TikTok e Viber, hanno completato la procedura. Le big tech hanno rifiutato di adeguarsi denunciando un quadro normativo vago e punitivo, privo di garanzie legali e “safe harbor” per i contenuti generati dagli utenti. Secondo osservatori locali, dietro la misura si intravede la volontà di limitare la libertà collettiva: non a caso, organizzazioni per i diritti hanno accusato l’esecutivo di voler usare la legge come strumento di censura.

Ma la questione dei social è solo il detonatore. E di analizzare la situazione del Nepal, e perché conta, si occupa questa settimana “Indo-Pacific Salad”, la newsletter dedicata alla regione più importante per il futuro degli equilibri globali (per iscriversi basta seguire il link). Che passano anche da Kathmandu, perché tutto si tiene.

Da anni i cittadini lamentano corruzione e incapacità di governo: dal 2008 il Nepal ha cambiato 14 esecutivi. Le proteste precedenti per il ritorno della monarchia mostravano già una sfiducia diffusa verso una democrazia percepita come inefficace. Non sorprende quindi che la Generazione Z, demograficamente dominante, sia oggi al centro della mobilitazione: coniuga linguaggi digitali e richiami tradizionali, e vede nella difesa dell’identità nazionale e religiosa un elemento irrinunciabile.

L’instabilità ha radici profonde. Dal 1990 il Nepal ha avuto 32 governi: la caduta di Pushpa Kamal Dahal e il ritorno di Oli sono l’ennesimo frutto di alleanze fragili. L’attuale coalizione tra il Cpn-Uml di Oli e il Nepali Congress di Deuba punta a riformare il sistema elettorale, eliminando il meccanismo misto per introdurre un modello maggioritario puro. Secondo i sostenitori, ciò garantirebbe stabilità; per i critici, ridurrebbe la rappresentanza delle comunità marginalizzate, minando lo spirito della costituzione del 2015.


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