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Vi spiego gli effetti dei fondi Safe sulle aziende della difesa italiane. Parla Calvosa

L’assegnazione dei fondi Safe all’Italia segna una svolta, ma inaugura anche una fase delicata di pianificazione industriale e finanziaria. Leonardo e Fincantieri mostrano già segnali positivi, mentre investitori internazionali e strumenti come il Nato Innovation Fund ampliano le possibilità di co-finanziamento. Le imprese italiane dovranno ora allineare progetti e capitali pubblico-privati per rafforzare competitività, scala produttiva e integrazione nelle supply chain europee. L’intervista a Gianluca Calvosa, presidente di Open Economics

La Commissione europea ha annunciato la ripartizione provvisoria dei fondi del pacchetto Security and Action for Europe (Safe), destinato a rafforzare la base industriale della difesa continentale. L’Italia si posiziona come quinto beneficiario, con 14,9 miliardi di euro in prestiti garantiti dall’Ue. Una cifra che apre prospettive di crescita per il comparto nazionale, ma che pone anche interrogativi sulla capacità delle imprese di intercettare e gestire in maniera efficace queste risorse, integrandole con i capitali privati e gli strumenti finanziari complementari. Airpress ne ha parlato con Gianluca Calvosa, presidente di Open Economics, per capire quali effetti l’annuncio abbia avuto sui mercati, come si muovono i grandi investitori internazionali e quali sfide attendono le aziende italiane nel nuovo quadro europeo.

Presidente, la Commissione europea ha recentemente annunciato la ripartizione provvisoria dei fondi del pacchetto Safe, con l’Italia che si è aggiudicata quasi 15 miliardi in prestiti garantiti. Che effetto ha avuto questo sui titoli della difesa italiana?

Dall’inizio dell’anno ad oggi, la performance di borsa Leonardo ha registrato una crescita di circa +90%. Il titolo Fincantieri ha fatto anche meglio crescendo di circa +190%. Il comparto della difesa ha beneficiato di una maggiore attesa sul volume prospettico degli ordini e le sinergie legate al procurement congiunto, proprio quelle abilitate dal programma Safe. Questo fattore di crescita si inserisce nella tendenza già sostenuta dall’accelerazione geopolitica e dal salto tecnologico (AI, spazio, cyber) che il White Paper for European Defence Readiness 2030 e l’European Defence Industrial Strategy (Edis) mettono al centro della strategia europea. Detto questo, il mercato resta selettivo: i multipli riflettono l’aspettativa sulle tempistiche di attuazione di Safe – prime firme ed erogazioni a inizio 2026 – e sulla capacità di esecuzione industriale; dunque, il sostegno al sentiment è reale ma condizionato da governance, tempi autorizzativi e conformità ai requisiti.

Come sappiamo, il rafforzamento della difesa europea non passerà solo dall’iniezione di fondi pubblici (nazionali o europei), ma anche dalla partecipazione dei privati come i private equity e venture capital. Come si stanno muovendo questi ultimi?

Prendiamo BlackRock: non ci sono dati pubblici su quanto abbia spostato sul comparto difesa europeo negli ultimi due anni, è però documentato che nel 2025 ha lanciato un Etf tematico dedicato (iShares Europe Defence Ucits Etf) e che l’esposizione dei fondi europei, inclusi molti Esg, verso la difesa è aumentata sensibilmente dopo l’annuncio di maggior spesa pubblica e strumenti Ue, cioè in un contesto di de‑risking policy.

Ci sono anche altri canali per il co-finanziamento dei capitali privati agli strumenti di finanza pubblica?

Oltre al modello appena citato di Black Rock, c’è il Nato Innovation Fund (Nif), sostenuto da 24 alleati Nato; non è un veicolo per grandi asset manager generalisti, ma è aperto a venture capital privati nei singoli round. Inoltre, attraverso il Defence Equity Facility, i privati finanziano fondi specializzati defence‑tech/dual‑use, mobilitando ulteriore capitale verso fondi e imprese europee del settore.

È allo studio la partecipazione di Regno Unito e Canada a Safe: quali impatti industriali si aspetta per le imprese italiane in termini di scala, interoperabilità e accesso a consorzi e supply chain più ampie?

L’apertura di Safe anche a UK e Canada, tramite accordi bilaterali, può incrementare scala e interoperabilità dei programmi congiunti, ridurre tempi di gara in “urgenza” e migliorare il potere d’acquisto, con ricadute misurabili su consorzi, supply chain e costi per le imprese italiane nei cluster della European Defence Industrial Strategy. Un indicatore interessante riguarda il joint procurement ampliato sul numero di gare Safe con partecipazione di partner terzi e quota di contratti aggiudicati a consorzi con almeno un partner tra UK e Canada. Si potrebbe pensare un target di +20–30% di volumi congiunti su categorie prioritarie entro 12–24 mesi dall’accordo.

Inevitabilmente, chi saprà porsi meglio per intercettare le diverse forme di finanziamento messe a disposizione dall’Europa si troverà in una posizione di vantaggio. Ritiene che le imprese italiane siano pronte da questo punto di vista?

Il vantaggio principale consiste nel de-risking derivante dalla copertura pubblica del funding gap tipico dei progetti di ricerca, sviluppo prototipale e first industrial deployment ma anche di quelli di espansione della capacità produttiva. I settori forti italiani (elettronica, aerospazio, navale) sono pronti dal punto di vista industriale, forse un po’ meno sotto il profilo delle tecnicalità di accesso agli strumenti di finanza pubblica. Il vantaggio competitivo dipenderà dalla rapidità con cui i progetti vengono inseriti nei piani nazionali e comunitari entro fine novembre 2025, dall’allineamento ai cluster stabiliti dall’Edis e dall’attivazione di finanza complementare Bei/Eif per la filiera. Un punto decisivo è proprio quest’ultimo: mappare i fondi disponibili e le loro finalità e incrociarle con i piani di investimento e le necessità di sviluppo delle imprese con l’obiettivo di consolidare un approccio strutturale all’utilizzo della leva di finanza pubblica come fattore competitivo sul mercato.


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