“Oggi, attori come Washington, Mosca e Pechino, pur con le loro ovvie differenze, parlano con una voce sola. In Europa invece ci sono 27 capi di governo, 27 ministri degli Esteri, 27 ministri della Difesa. È un sistema che non regge di fronte alle sfide globali”. Intervista al deputato Pd Stefano Graziano, capogruppo della Commissione Difesa della Camera dei Deputati
Il summit dei Volenterosi, riunitosi questa settimana, ha evidenziato ancora una volta le divisioni tra gli Stati europei sul sostegno all’Ucraina. Francia e Regno Unito, principali promotori della Coalizione, si dicono pronti a impegnarsi boots on the ground per fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina in caso di cessate il fuoco, mentre altri, tra cui Italia, Germania e Polonia, rifiutano questa opzione. Mentre le trattative per un possibile accordo tra Kyiv e Mosca vivono una fase sempre più incerta, l’Europa reclama un ruolo da protagonista, ma continua a presentarsi divisa sui grandi temi. Airpress ne ha discusso con Stefano Graziano, deputato del Partito Democratico e capogruppo in commissione Difesa della Camera dei Deputati.
Onorevole, il vertice dei Volenterosi ha confermato una spaccatura tra i suoi componenti. Che tipo di Europa esce da questo summit?
Innanzitutto va detto che l’Italia è arrivata in ritardo nel gruppo dei Volenterosi e che ciò è stato un errore. Questo ritardo e le divisioni emerse al summit dimostrano la difficoltà dell’Europa a presentarsi unita e forte, che invece è esattamente ciò di cui avremmo bisogno adesso. La direzione da prendere è chiara, quella nella direzione della costruzione di una politica estera e di difesa europea unica. Solo più Europa, con decisioni condivise, ci permetterà di tenere saldo l’asse europeo, di garantire sicurezza e di dare forza all’Ucraina. Naturalmente, resta aperto il nodo delle garanzie nel caso di un cessate il fuoco, che va accompagnato da una forte iniziativa diplomatica.
Eppure sembra di assistere a un circolo vizioso: l’Europa reclama un ruolo ma si divide proprio quando ha l’opportunità per agire. È così?
Sì. Finché gli Stati non cederanno parte della loro sovranità all’Europa, resteremo in questa condizione. Oggi, attori come Washington, Mosca e Pechino, pur con le loro ovvie differenze, parlano con una voce sola. In Europa invece ci sono 27 capi di governo, 27 ministri degli Esteri, 27 ministri della Difesa. È un sistema che non regge di fronte alle sfide globali. La foto del summit di Washington, che ritrae Trump e Zelensky affiancati da ben sette leader europei, restituisce questa disparità. Dovremmo presentarci invece come gli Stati Uniti d’Europa. Se non trasformiamo questa difficoltà in un’opportunità per costruire un’Europa più forte e veloce nel decidere, continueremo a dividerci. E il vero rischio è la frantumazione del progetto europeo.
Perché questo passo in avanti appare così difficile?
Perché avanzano i nazionalismi. Invece di andare nella direzione europeista, con gli Stati pronti a cedere sovranità all’Unione, vediamo il contrario. Le elezioni in diversi Paesi stanno spingendo verso la chiusura dentro i confini nazionali. Il risultato è sempre lo stesso: i nazionalismi producono egoismi e muri. Noi invece dobbiamo abbattere muri e costruire ponti. È per questo che come Partito Democratico e come Pse (Partito socialista europeo) riteniamo indispensabile accelerare il processo che porti a un’Europa più forte, più unita e con più potere decisionale. Questa è la strada per restituire all’Unione un ruolo vero sulla scena internazionale.
Tornando all’Ucraina, se Mosca dovesse chiudere ogni spazio diplomatico, che scenari si aprirebbero?
Una cosa è certa: non si può fare una trattativa senza l’Ucraina. È un dato di fondo. In quel caso bisognerebbe trovare garanzie di sicurezza sul campo e discutere del ruolo dell’Europa. Io credo che il tavolo debba poggiare su quattro gambe: Europa, Stati Uniti, Russia e Ucraina. Solo lì si possono definire condizioni reali.
Si parla anche dell’ipotesi di uno schieramento limitato a Francia e Regno Unito, in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu. Mosca potrebbe accettare?
Tutto dipende dalla volontà di chiudere il conflitto. Se c’è la volontà, il cessate il fuoco è il primo passo naturale e da lì si costruiscono le garanzie di sicurezza. Queste in genere si basano su presidi garantiti da livelli superiori, capaci di definire zone di protezione. Oggi però resta difficile prevedere gli sviluppi, perché non si vede ancora quella volontà chiara di chiudere. Inoltre, l’atteggiamento “ondeggiante” di Trump crea problemi anche nella trattativa con Putin. Le vere negoziazioni inizieranno solo quando ci sarà la disponibilità effettiva a chiudere il conflitto.