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Ultima chiamata per gli asset russi. I due mesi decisivi per l’Europa (e per Kyiv)

Dopo il flop, ampiamente annunciato, dell’ultimo Consiglio europeo, ora la data da cerchiare con il rosso è il 18 dicembre. Per quel giorno, o i leader europei sapranno come prestare 140 miliardi a Kyiv senza far scappare i capitali e violare il diritto internazionale o il sostegno economico all’Ucraina rimarrà solo un’idea

Ultimo appello. Poi, la questione degli asset russi da monetizzare per dare man forte all’Ucraina, diventerà qualcosa di molto simile a una telenovela. Come previsto, dal Consiglio europeo non è uscito il tanto atteso accordo per ricavare 140 miliardi dai 200 miliardi di riserve della Banca centrale russa messe sotto chiave in Europa (il grosso, 180-185 miliardi si annida nei forzieri della finanziaria belga Euroclear). Non che i presupposti della vigilia fossero così incoraggianti, come dimostra il fuoco incrociato di dubbi sulla proposta dell’Ue di trasformare le riserve in un prestito di riparazione da girare a Kyiv. Sia il governo italiano, sia quello belga, oltre allo scontatissimo niet ungherese, hanno fatto ancora una volta arenare il progetto. Sì, certo, dal comunicato congiunto emerge la consapevolezza che all’Ucraina, oltre ai missili, servono i soldi.

Ma non basta, è tutto, troppo, generico. Specialmente quando si parla di necessità di coprire le “urgenze finanziarie dell’Ucraina per il periodo 2026-2027” o di invito alla Commissione a “presentare, il prima possibile, opzioni di sostegno finanziario basate sulle esigenze di Kyiv”. Va bene, ma come? Ovvero, dove prendere i soldi? Neppure l’incontro con la presidente della Bce Christine Lagarde, durante la cena dei leader, è bastato a dissipare i dubbi sugli effetti delle misure per la stabilità dell’euro.

Non poteva essere più chiaro il premier belga, Bart De Wever, al suo arrivo al vertice Ue. “Abbiamo tre condizioni: mutualizzazione del rischio, garanzie da tutti i Paesi per contribuire a eventuali rimborsi e l’utilizzo di tutti i beni russi immobilizzati, non solo quelli detenuti dal Belgio”, ha spiegato. E ammonito: “Se queste tre richieste, che sono del tutto ragionevoli, saranno soddisfatte, allora potremo andare avanti. In caso contrario, farò tutto ciò che è in mio potere a livello europeo, anche a livello nazionale, politicamente e giuridicamente, per fermare questa decisione”. E nel dibattito al tavolo dei leader ha mantenuto la sua parola.

Insomma, alla fine, rimane quella dichiarazione che nei fatti non menziona l’utilizzo degli asset, pur invocando l’aiuto economico per l’Ucraina. A dicembre, quando i leader europei torneranno intorno a un tavolo, bisognerà avere in tasca un jolly: come togliere dalle mani di Mosca i beni senza che i capitali lascino l’Europa, perché spaventati da una potenziale violazione del diritto internazionale. Senza questo passaggio, ogni sforzo politico sarà vano. Lo stesso premier belga lo ha ricordato ai presenti. “Subiremo enormi richieste di risarcimento. Quindi, se vogliamo farlo, dovremo farlo tutti insieme. Vogliamo garanzie, se il denaro deve essere restituito, che tutti gli Stati membri contribuiscano. Le conseguenze non possono riguardare solo il Belgio. Inoltre, ogni Paese che ha immobilizzato beni si muova insieme a noi, perché noi siamo gli unici, Euroclear è l’unica istituzione finanziaria che offre extra-profitti all’Ucraina”. Ci sono due mesi di tempo. Scarsi.


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