La prospettiva di un cessate il fuoco in Ucraina, dopo il Consiglio europeo di ieri, sembra essere più alla portata. Anche se il presupposto deve essere quello di non rinunciare all’integrità territoriale. La stabilità italiana è un valore in Ue, ma anche sulla narrazione bisogna essere coerenti. Colloquio con l’europarlamentare del Ppe Massimiliano Salini
Il Consiglio europeo ha confermato che la politica estera è tornata al centro dell’agenda dell’Unione. Sul tavolo, ancora una volta, il sostegno all’Ucraina, il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia e il rapporto con Washington. Il giorno prima, in Parlamento, il dibattito italiano aveva mostrato una certa fatica nel mantenere una linea comune su questi temi nonostante la chiarezza del premier Giorgia Meloni. In questa cornice, Formiche.net ha parlato con l’eurodeputato del Ppe Massimiliano Salini per un’analisi a tutto campo su Ucraina, alleanza atlantica e ruolo dell’Italia in Europa.
Il Consiglio europeo ha discusso ancora una volta la questione ucraina. Cambia qualcosa dopo la rinnovata consapevolezza americana sull’inaffidabilità di Putin?
Il primo effetto è la presa d’atto, anche a Washington, che Putin non è un interlocutore affidabile. È un cambio di prospettiva importante, perché obbliga l’Occidente a ricompattarsi. Per l’Europa significa tornare soggetto politico, non semplice spettatore. L’alleanza atlantica non è solo uno strumento militare, ma un legame culturale e valoriale. Se gli Stati Uniti riconoscono il rischio, Bruxelles deve rispondere con maggiore responsabilità e iniziativa: nelle sanzioni, nel sostegno a Kyiv, nella difesa comune e nella strategia energetica.
Questo “scossone” può davvero modificare l’atteggiamento dell’amministrazione americana, nonostante la polarizzazione interna?
È difficile, ma possibile. Tutto dipende dalla capacità degli Stati Uniti di ridurre la tensione politica interna. Una democrazia troppo polarizzata riflette le proprie divisioni anche sulla politica estera. Se l’America non trova equilibrio dentro di sé, la credibilità dell’Occidente si indebolisce. Serve un abbassamento dei toni: la politica di pace nasce anche da una cultura del rispetto verso l’avversario. Se prevalgono logiche autarchiche o di scontro permanente, l’Europa deve mantenere la rotta e garantire continuità, altrimenti ogni decisione strategica diventa precaria.
Nel dibattito parlamentare italiano si è vista una maggioranza unita sui fatti ma divisa sul racconto. Cosa rappresenta la “stabilità italiana che colpisce l’Europa intera”?
Oggi l’Italia è percepita come un fattore di stabilità, e questo, in Europa, non era affatto scontato. Nelle principali questioni di politica estera – difesa, Ucraina, atlantismo – il governo mostra una solidità che dà fiducia ai partner. Le differenze interne esistono, ma si è scelto di rinunciare a qualche ruvidità per salvaguardare l’interesse generale. La stabilità, però, deve diventare coerenza: decidere chiaramente da che parte stare, anche nella comunicazione pubblica. Se ci si limita a sopportarsi, si rischia di disorientare l’elettorato e di indebolire la credibilità del Paese.
Molti osservatori ritengono inevitabile un dibattito sul cessate il fuoco. Qual è il limite da non superare?
L’integrità territoriale dell’Ucraina non è negoziabile. Accettare la perdita di territori significherebbe legittimare la violazione del diritto internazionale e creare un precedente pericoloso. Capisco le pressioni della realpolitik, ma la pace non può nascere da una resa. Servono soluzioni politiche, certo, ma il compromesso non deve mai premiare l’aggressore. L’Europa deve mantenere questa fermezza, anche se costa.
Guardando avanti, la sua “forte speranza” è nel rilancio del progetto europeo. In cosa deve tradursi nei prossimi mesi?
In quattro direzioni. Primo, la difesa comune: un’Europa capace di agire, non solo di discutere. Secondo, la sicurezza energetica unita alla transizione verde: meno dipendenza, più autonomia. Terzo, l’autonomia industriale e tecnologica, perché la sovranità si misura anche sulla capacità produttiva. Quarto, una cultura politica europea che parli ai cittadini e spieghi perché l’Europa serve, non solo cosa decide. La speranza diventa realtà se la politica torna strumento di unità, non di tattica.







