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Bruxelles risponde a Pechino. La partita del trasferimento tecnologico e l’ombra del Bieta

Nel cuore di Bruxelles cresce la convinzione che per salvare l’industria europea serva un atto di forza. La Commissione europea sta valutando di imporre alle aziende cinesi che investono nel mercato europeo l’obbligo di condividere tecnologie con partner locali, una misura che riecheggia i vecchi vincoli con cui Pechino ha costretto per decenni le multinazionali straniere a cedere il proprio know-how in cambio dell’accesso al suo immenso mercato interno

A Bruxelles si discute di una misura che, fino a pochi anni fa, sarebbe sembrata impensabile. Obbligare le aziende cinesi che investono in Europa a condividere le loro tecnologie con partner europei. Una sorta di reciprocità forzata, uno specchio (rovesciato) delle regole che per decenni Pechino ha imposto agli investitori stranieri desiderosi di entrare nel suo mercato.

Secondo quanto riportato da Bloomberg, il piano, atteso per novembre, sarà parte del nuovo Industrial Accelerator Act, il pilastro della strategia con cui la Commissione europea vuole rafforzare l’autonomia industriale del continente. Le nuove norme, ancora in fase di definizione, riguarderanno i settori più sensibili: batterie, auto elettriche, semiconduttori, manifattura digitale.

L’assunto è quello che, se Pechino ha costruito il proprio potere economico chiedendo ai colossi occidentali di “insegnare” prima di vendere, ora l’Europa vuole costringere i campioni industriali cinesi a restituire il favore.

“Vogliamo investimenti reali, che creino valore e occupazione in Europa”, ha spiegato il commissario al Commercio Maroš Šefčovič. Oltre alle motivazioni economiche, promosse da affermazioni diplomatiche e misurate, la competizione con la Cina non è più soltanto economica ma sistemica, fatta di tecnologia, dati e potere informativo.

Tecnocrazia

Da anni, la Cina utilizza l’obbligo di joint venture e il controllo normativo come strumenti di estrazione tecnologica sistematica.

In superficie gli investimenti stranieri, in profondità una rete di istituti e aziende “di ricerca” che operano come interfacce dell’apparato di intelligence. Come, nel caso del Beijing Institute of Electronics Technology and Application (Bieta), analizzato da Recorded Future in un rapporto pubblicato a ottobre. L’istituto, formalmente dedito a studi su comunicazioni e cybersecurity, sviluppa tecnologie di steganografia, ovvero di occultamento di informazioni all’interno di file digitali, oltre a piattaforme di simulazione per l’esercito e per l’intelligence.

Inoltre, la sua controllata, Beijing Sanxin Times Technology Co., importa e integra software occidentali per scopi di sicurezza nazionale, aggirando spesso le barriere normative attraverso collaborazioni accademiche e joint venture civili.

In altre parole, mentre Bruxelles si prepara a imporre il trasferimento tecnologico come condizione per investire nel mercato europeo, Pechino lo pratica da anni. Solo che lo fa in silenzio e con strumenti di Stato.

In questo contesto, la proposta della Commissione di imporre tech transfers obbligatori alle imprese cinesi assume un sapore ironico: l’Europa tenta di interfacciarsi con Pechino utilizzando i suoi stessi strumenti. “Se invitiamo investimenti cinesi in Europa, devono venire con la condizione di un trasferimento tecnologico”, ha dichiarato il ministro danese Lars Løkke Rasmussen, sintetizzando l’orientamento di un blocco che cerca di difendersi con gli stessi strumenti del suo avversario sistemico. L’unione si muove in uno scenario caratterizzato da due poli differenti, il primo è quello della necessità commerciale mentre, il secondo, riguarda la necessità di guadagnare vantaggi competitivi dove possibile, assorbendo e rielaborando innovazioni che provengono anche al di fuori del Continente, dietro la formula della reciprocità tecnologica.

Cosa c’è in gioco? Senz’altro più di un semplice accordo. Molto di più. Batterie, IA, cybersecurity, semiconduttori e microchip: le catene del valore di domani. Un potere industriale che Bruxelles prova a colmare, muovendosi in ritardo, cercando di far lasciare qualcosa in cambio a chi entra nelle porte del mercato europeo.

Da qui, una condizione quasi paradossale. La sovranità tecnologica europea potrebbe nascere proprio dall’utilizzo delle leve del suo competitor più temuto e ambizioso. Sempre che, in un mondo dove la tecnologia è potere, la reciprocità cercata e voluta non si trasformi in un cavallo di Troia.

 


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