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La Cina punta al gas saudita. Ma stavolta i fondi restano alla larga

Alcune tra le principali banche cinesi hanno cominciato a finanziare la compagnia di Stato araba Saudi Aramco, che opera e gestisce il gigantesco giacimento Jafurah. Nuovo sgambetto alla Russia in vista, mentre Pechino lascia a casa i grandi fondi in risposta alla guerra commerciale degli Stati Uniti

Saudi Aramco è oggi la compagnia nazionale saudita di idrocarburi che, con una produzione di più di 10 milioni di barili al giorno, è tra i maggiori conglomerati petroliferi al mondo e il più importante finanziatore del governo saudita. La stessa che ha in gestione Jafurah, il più grande giacimento di gas scisto in Medio Oriente, contenente circa 200 trilioni di piedi cubi standard di gas naturale. Un’autentica miniera di metano che, si prevede, svolgerà un ruolo chiave nella transizione energetica, aiutando l’azienda a progredire verso le sue ambizioni di emissioni nette zero, oltre al fatto che il giacimento di gas di Jafurah fornirà anche una serie di materie prime preziose per l’industria petrolchimica a valle.

Saudi Aramco non è sola, ma in buona compagnia di fondi, altre big oil, ma soprattutto della Cina. O meglio, dei soldi della Cina perché sembra proprio che le principali banche statali cinesi stiano concedendo miliardi di dollari in prestiti al progetto di gas Jafurah di Aramco. Come ha rivelato Reuters, le banche cinesi hanno fornito oltre un terzo del finanziamento per quello che potrebbe diventare il più grande progetto di gas di scisto al di fuori degli Stati Uniti. Bank of China, Icbc e China Construction Bank hanno ciascuna concesso prestiti per circa 1 miliardo di dollari, mentre Agricultural Bank of China ha fornito circa 750 milioni di dollari.

Pechino potrebbe avere anche le sue ragioni ad allungare il passo sul mastodontico giacimento. I rapporti con la Russia, almeno sul versante del gas, non sono dei migliori: è vero che il Dragone ha bisogno di metano, perché quello prodotto in casa non basta a coprire il fabbisogno della transizione, ma da Mosca lo vuole a prezzi di favore. Cosa che a Mosca piace poco, vista l’ormai conclamata crisi delle entrate derivanti proprio dalla minore vendita di idrocarburi agli alleati storici. Allora perché non volgere lo sguardo al Golfo, anche a costo di inguaiare ancora l’amica Mosca?

C’è però un altro aspetto, che vale la pena sottolineare. I soldi arrivati dalla Cina, destinazione Aramco, sono pubblici e non privati. Qualcuno, insomma, si è tirato indietro. Come racconta la stessa Reuters, alcuni fondi cinesi, ai quali era stata offerta la possibilità di partecipare al round di finanziamento azionario per Jafurah, non hanno infatti aderito alla richiesta di Aramco. Ora, l’assenza dei fondi cinesi contrasta con i precedenti, vale a dire l’accordo di Aramco del 2022, quando Silk Road Fund e China Merchants Capital, due fondi, si unirono a BlackRock e Keppel. Ci sono pochi dubbi in merito, è il segno dei tempi, ovvero del peggioramento delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, che sta influenzando le operazioni nel Golfo, fa notare l’agenzia. Da Pechino, insomma, è partito l’ordine di scuderia per i fondi: evitare società di private capital statunitensi e anche gestori non statunitensi con esposizione americana.


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