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Batterie, perché la Cina ripensa i suoi investimenti in Europa

La gigantesca factory della cinese Catl in Ungheria, potrebbe subire un ridimensionamento in termini di capacità. Motivo? L’Europa sta finalmente alzando le prime vere barriere contro gli investimenti aggressivi del Dragone. Che potrebbe, a sorpresa, cedere qualche metro di terreno

Alt. La Cina fa un bel respiro e ferma per un momento la sua corsa forsennata per conquistare l’Europa e le sue industrie. Potrà suonare strano, ma è proprio così. Al punto che, persino i due unicorni cinesi per eccellenza, il colosso delle batterie Catl e il costruttore di auto elettriche Byd, hanno dovuto prendersi una pausa. Attenzione, nessuna crisi mistica, la Cina continuerà a tenere sotto pressione l’Europa, strappando pezzi di economia un poco alla volta. Però un po’ i dazi americani, un po’ le tensioni geopolitiche originate dalla guerra in Ucraina, un po’ la progressiva presa di coscienza dell’Europa, per una sua autonomia industriale e manifatturiera, alla fine hanno qualche bastone tra le ruote lo hanno messo.

Tutto parte dalla cittadina ungherese di Debrecen, una vasta fabbrica di batterie costruita proprio da Catl per rifornire Bmw, Mercedes e altri marchi automobilistici europei. L’impianto da 7,3 miliardi, però, potrebbe subire un ridimensionamento. Motivo? La domanda di veicoli elettrici più debole del previsto in Europa sta costringendo il produttore di batterie a una revisione dei piani. La prima fase del progetto ha visto un aumento, in termini di capacità, del 20% a 40 gigawatt/ora prodotti, ma le due fasi successive sono state invece ripensate, perché soggette alla contrazione della domanda del mercato.

Anche la politica, però, ci ha messo del suo. Tanto che secondo Agatha Kratz, economista dell’autorevole centro studi Rhodium Group, l’attuale congiuntura geopolitica sta impattando sulle catene di approvvigionamento e sulle decisioni di investimento della Cina. “È probabile che vedremo una decelerazione nel ritmo dei nuovi progetti cinesi nell’Ue e in Europa in generale date le tensioni politiche. Il 2025 si verrà ricordato come un anno di pausa per gli investimenti. C’è già stato un forte calo del valore dei progetti per l’auto elettrica cinesi annunciati in Europa nel 2024”, ha spiegato Kratz. Per la quale dopo la pandemia, “l’Ungheria è stata uno dei principali beneficiari degli investimenti automobilistici cinesi in Europa, ma ora i dati mostrano un calo del numero complessivo di progetti annunciati in Ungheria da 15 nel 2023 a soli sette l’anno scorso”.

E attenzione alla deterrenza della Commissione europea. La quale, poche settimane fa, ha avvertito che intensificherà il suo screening degli investimenti cinesi in Europa, utilizzando il regolamento sui sussidi esteri (Fsr) che consente a Bruxelles di bloccare le aziende che ritiene siano sostenute ingiustamente dai governi stranieri. Come in effetti accade per Byd e Catl. Proprio ieri, poi, in una missiva ai 27 Stati membri in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì, Ursula von der Leyen ha fatto capire che la musica è cambiata.

“L’Europa deve difendere se stessa e i suoi valori, e senza i mezzi economici su cui contare, non possiamo che fallire collettivamente. Se facciamo le scelte sbagliate, la lenta agonia annunciata da Draghi potrebbe diventare realtà prima e più velocemente. Il ruolo che la Cina ha ormai conquistato come leader mondiale nella corsa al clean tech, per esempio, anche sfruttando a suo favore gli errori europei. Come quelli commessi nell’energia solare, nelle batterie, nei veicoli elettrici”. Ora qualcosa si muove.


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