L’evento organizzato dalla Med-Or Italian Foundation ha offerto uno spaccato sulla dimensione strategica dell’America Latina. L’ottica è stata quella di creare un quadro di analisi, anche con un focus sulle opportunità per l’Italia
L’America Latina torna al centro della competizione geopolitica. Nell’era Trump 2.0, la regione è di nuovo campo di confronto tra potenze, su tutte Washington e Pechino. Mentre l’Europa e l’Italia sembrano avere un ruolo ancora marginale, lo spazio geopolitico e geoeconomico è potenzialmente strategico. È il quadro emerso dall’incontro “Il continente latino-americano nell’era Trump”, ospitato il 16 ottobre presso la Fondazione Med-Or, con l’analista politico boliviano Hugo San Martín Arzabe, già ministro del Lavoro e parlamentare, protagonista di un dialogo con il presidente dell’Associazione Italiana per la Ricerca Industri, Andrea Bairati.
La nuova geoeconomia latinoamericana
Con 668 milioni di abitanti (pari al 8,1% della popolazione mondiale) e un Pil aggregato di 4,5 trilioni di dollari, l’America Latina rappresenta il 5,6% dell’economia globale. Nonostante un tasso di crescita stimato al +2,2% nel 2025, la regione rimane vulnerabile a instabilità istituzionali e a oscillazioni politiche frequenti: dieci presidenti sono stati sottoposti a procedimenti giudiziari dal 2020, cinque dei quali tra giugno 2024 e settembre 2025.
San Martín ha evidenziato come la governabilità sia oggi il principale indicatore di rischio: solo il 52% dei latinoamericani considera la democrazia come la forma giusta di governo, mentre cresce la tolleranza verso l’uso delle forze armate come fattore di stabilizzazione interna. Paesi come Brasile e Messico mostrano una maggiore resilienza istituzionale; altri, come Colombia o Argentina, si muovono in contesti più fragili.
Dall’egemonia americana alla competizione sino-statunitense
La capacità di influenza esterna negli ultimi due decenni è molto cambiata: nel 2000 quasi tutto il continente rientrava nell’orbita commerciale, dunque in parte anche politica e culturale, degli Stati Uniti; nel 2023, la mappa si è ribaltata, con la Cina divenuta il principale partner economico della maggioranza dei Paesi latinoamericani.
Nell’ultimo anno, le esportazioni del Brasile, per esempio, mostrano un divario netto: 106 miliardi di dollari verso la Cina contro 37 miliardi verso gli Usa. E anche nelle importazioni brasiliane la Cina mantiene il primato, seguita da Stati Uniti e India. L’equilibrio commerciale si riflette su tutta la regione: Cile e Brasile registrano un surplus con la Cina e un deficit con Washington; Messico l’inverso; Colombia e Argentina si trovano in una posizione di doppia vulnerabilità.
Il peso dell’Europa, e in particolare dell’Italia, rimane limitato: la presenza italiana è marginale in quasi tutti i mercati, ad eccezione dell’Argentina, dove figura tra i principali partner d’importazione (2-3 miliardi di dollari l’anno).
Il corridoio bioceanico e il nuovo paradigma strategico
Un caso emblematico della nuova geoeconomia latinoamericana è il Brazil–Peru Bioceanic Corridor, la ferrovia in costruzione tra i porti di Chancay (Perù) e Ilhéus (Brasile). L’infrastruttura, sostenuta da capitali cinesi, collega l’Atlantico al Pacifico e punta a ridurre la dipendenza per questo collegamento dal Canale di Panama. San Martín ha ricordato che però il porto di Chancay, di proprietà cinese, è considerato un’infrastruttura dual-use, potenzialmente in grado di ospitare unità della flotta del Pacifico delle Forze di liberazione popolare: un segnale della crescente interconnessione tra economia e sicurezza.
“Fino a ieri giocavamo a dama, oggi giochiamo a scacchi”, ha detto l’esperto, per indicare il passaggio da una logica tattica a una strategia di lungo periodo, in un momento in cui “il vecchio mondo non è ancora morto e il nuovo non è ancora nato”. Tutto questo perché, spiega, “è tornata la geopolitica”, con un il ritorno della geoeconomia — investimenti, infrastrutture, energia, catene del valore — che è oggi anche una leva per evitare il confronto militare diretto, in un contesto di forte pressione diplomatica e commerciale statunitense per indebolire la presenza cinese. Un esempio, oltre all’inizio delle operazioni militari contro il narcotraffico e delle cover-ops della Cia in Venezuela, è il prestito da 20 miliardi all’Argentina — che Washington vincola a un allentamento di Buenos Aires dalla sfera di Pechino.
Attori e influenze
La regione è ormai il terreno di confronto di tre attori principali. Il ruolo cardine è comunque interpretato dagli Stati Uniti, orientati a riforme commerciali selettive, focus su sicurezza e migrazione, sviluppo di AI e cybersicurezza, e nuovi accordi su petrolio e gas. Ma come accennato, la Cina è l’attore attualmente più attivo: impegnata in investimenti infrastrutturali e energetici, punta a un’espansione diplomatica anche attraverso la collaborazione tecnologica (5G, smart cities), e muove fortissimi interessi sul controllo dei materiali critici. In mezzo, col rischio di essere schiacciata, l’Unione Europea, che promuove accordi di cooperazione sostenibile come quello con il Mercosur, standard digitali e diritti umani, con la decarbonizzazione come asse centrale. Quanto alla Russia, la sua presenza è per ora più circoscritta che in passato, ma significativa, legata più al mercato delle armi e ai rapporti di sicurezza che alla finanza. In Bolivia, che controlla le più grandi riserve mondiali di litio, Mosca ha rafforzato la cooperazione industriale, però un eventuale cambio politico a La Paz, ha osservato San Martin, potrebbe riequilibrare queste relazioni.
Sul piano politico, l’espero distingue infatti le democrazie liberali — sebbene con divergenze tra governi conservatori e progressisti — dai regimi autoritari, come Venezuela e Nicaragua. La partita si gioca anche attorno alla capacità attrattiva che le democrazie riescono ancora ad avere. Dinamiche note anche altrove, dal Sud-est asiatico all’Africa.
Opportunità per l’Italia
Qui si basa il ragionamento sulle implicazioni per Roma, con le imprese italiane che hanno rapporti con la regione, anche come conseguenza di connessioni storico-culturali profonde. In un ambiente dove l’instabilità politica e la polarizzazione sociale sono variabili strutturali, San Martín ha invitato le aziende europee (dunque anche le italiane) a rafforzare la capacità di analisi anticipatoria — combinando intelligenza politica, monitoraggio dei rischi e lettura delle tendenze disruptive — e a integrare la governabilità tra i parametri decisionali, non solo quelli finanziari.
Le imprese italiane, ha spiegato, possono costruire influenza indiretta investendo in legittimità sociale, capitale umano locale, resilienza climatica e agende di lungo periodo ancorate allo sviluppo territoriale.
Diretto il richiamo al Piano Mattei, il progetto strategico italiano per la cooperazione paritaria con l’Africa: “Perché non un approccio simile anche in America Latina?”, ha domandato Arzabe, sottolineando che l’Italia possiede capitale culturale e relazionale per avviare un posizionamento stabile nel continente, purché sappia combinare strumenti geopolitici, economici e industriali.
Il continente latinoamericano si trova in un momento spartiacque: le regole del gioco stanno cambiando e le relazioni economiche diventano leve geopolitiche. Per l’Italia, l’opportunità è duplice — consolidare la propria presenza economica e partecipare alla definizione di un nuovo equilibrio tra democrazia, stabilità e sviluppo sostenibile.