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Da Obama a Trump. Quando il potere siede a tavola (a Cafe Milano)

Anche per gli standard già illustri del locale, la serata di mercoledì è stata piuttosto movimentata. Tra un risotto allo zafferano e una battuta – sempre misurata, ma sagace –  di Franco Nuschese, il ristorante simbolo del potere a Washington ha messo insieme due ex presidenti americani (democratici): Joe Biden e Barack Obama, ciascuno impegnato in cene separate ma inevitabilmente al centro dell’attenzione. E un folto gruppo di rappresentanti del governo Repubblicano. Il locale è diventato il punto di riferimento del potere (anche di casa nostra)

Nel tempo dell’iper-polarizzazione, dove si possono trovare – assieme – due ex presidenti democratici e mezzo governo repubblicano? La risposta è facile: Cafe Milano. Un luogo che diventa, in qualche modo, istituzione. Prendete quello che è successo ieri.

Anche per gli standard già illustri del locale, la serata di mercoledì è stata piuttosto movimentata. Tra un risotto allo zafferano e una battuta – sempre misurata, ma sagace –  di Franco Nuschese, il ristorante simbolo del potere a Washington ha messo insieme – casualmente, dicono – un cast da vertice internazionale. Seduti tra i lampadari dorati di Georgetown, due ex presidenti americani (democratici): Joe Biden e Barack Obama, ciascuno impegnato in cene separate ma inevitabilmente al centro dell’attenzione.

Con loro, una mezza dozzina di membri di governo (repubblicano), tra cui il segretario al Tesoro Scott Bessent, il segretario al Commercio Howard Lutnick e quello all’Energia Chris Wright, avvistato in compagnia del senatore Dave McCormick e dell’immancabile entourage di consiglieri, lobbisti e strateghi in cerca del tavolo giusto.

“Chi ha detto che Georgetown non è più di moda?”, scherzava un diplomatico europeo mentre il maître Laurent Menoud gestiva il traffico di camerieri e guardie del corpo come un direttore d’orchestra.

E Obama e Biden? Hanno incrociato i bicchieri? Nessuno lo sa.

Le rispettive scorte hanno addirittura dovuto coordinarsi per non bloccare l’ingresso: un piccolo balletto di Suburban e suv neri, come solo a Washington sanno fare.

Ma non si esclude che, tra un dolce e un espresso, ci sia stato almeno il tempo per un rapido “come va, vecchio amico?”.

Cafe Milano, ora sempre più, finisce al centro della scena. È lì che ormai sti prendono le misure di chi conta.

Politico, il magazine che rappresenta una sorta di bibbia laica per addetti ai lavori (ma non solo) lo ha recentemente definito “leggendario” — e non a torto.

È da anni il ritrovo naturale di diplomatici, ministri, capi di Stato e, da qualche tempo, anche dei vertici italiani di passaggio nella capitale americana.

Nei giorni scorsi, proprio qui si è svolta la cena per il 50esimo anniversario della NIAF, l’associazione italo-americana che ogni anno riunisce il gotha dei rapporti tra Roma e Washington. Al tavolo, figure di primo piano dell’amministrazione americana e del governo italiano, in un clima che mescola formalità e confidenza.

Il ristorante di Franco Nuschese – romano d’origine e ormai istituzione della Beltway – è diventato il luogo dove la politica italiana si sente un po’ a casa. Non a caso è il ristorante preferito di Giorgia Meloni, come lo è stato dei suoi predecessori: un punto di riferimento fisso ogni volta che la premier (o chi la ha preceduta) passa da Washington.

E non solo gli italiani.

Quando i capi di Stato stranieri atterrano nella capitale americana, una tappa al Cafe Milano è quasi obbligatoria: dal presidente di Singapore ai leader europei, tutti finiscono per sedersi almeno una volta tra quelle pareti color crema dove l’italianità incontra la diplomazia.

Più che un semplice ristorante, il Cafe Milano è un esercizio diplomatico quotidiano. Il suo segreto è nella formula: molto più della cucina, che comunque sa sempre di Made in Italy.

In fondo – si dice – le cose migliori, nascono sempre a tavola. O davanti a un caffè. Anzi. Cafe, meglio se Milano.


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