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Ecco chi sono i tre premi Nobel all’economia e perché c’entra Mario Draghi

Philippe Aghion, Peter Howitt e Joel Mokyr hanno dimostrato il clamoroso mancato appuntamento dell’Europa con le grandi innovazioni. Senza le quali non è possibile immaginare crescita e sviluppo. Discorso che chiama direttamente in causa il rapporto dell’ex presidente della Bce

Quante volte è stato scritto, detto, che senza innovazione non c’è crescita. Ci voleva un premio Nobel per capirlo. Si spera, almeno. Il premio assegnato dall’Accademia svedese per l’economia 2025 è stato assegnato a Joel Mokyr, economista statunitente-israeliano della Northwestern University e, congiuntamente, Philippe Aghion, economista francese e Peter Howitt, canadese. La motivazione del premio è nei contributi che hanno dato nello spiegare come l’innovazione risulti un motore della crescita economica.

In modi diversi i vincitori hanno infatti dimostrato che la distruzione creativa produce alcune conseguenze negative che devono essere gestite per poter arrivare davvero al progresso: il rischio è che altrimenti l’innovazione venga bloccata da chi ha interessi contrastanti, come grandi multinazionali o lobby. Significa che il mondo non può dare per scontata la crescita economica guidata dall’innovazione, e che la società e le istituzioni devono sempre garantire le condizioni migliori per il progresso: se questo non accade il destino è la stagnazione economica.

Metà premio andrà a Mokyr, della Northwestern University, negli Stati Uniti, “per aver identificato i prerequisiti di una crescita economica duratura attraverso il progresso tecnologico”, mentre l’altra metà andrà ad Aghion e Howitt, rispettivamente del Collège de France (Francia) e della Brown University (Stati Uniti), “per la teoria della crescita sostenuta attraverso la distruzione creativa”, un concetto alla base dell’economia secondo cui le innovazioni distruggono la conoscenza esistente per creare progresso e sviluppo economico.

Nel dettaglio, Mokyr ha usato fonti storiche per dimostrare quali sono le condizioni affinché le innovazioni si succedano in un processo cosiddetto “autogenerante”, per diventare cioè la base per ulteriori scoperte e innovazioni. I suoi studi hanno mostrato che ciò avviene quando si conoscono in modo approfondito le ragioni delle innovazioni: in poche parole, non basta sapere che qualcosa funziona in un certo modo, ma bisogna sapere anche perché. Il minimo comun denominatore dei tre studi è il fatto che l’innovazione, proprio per il processo di distruzione creativa, crea vincitori e sconfitti: non solo a livello di aziende, con alcune che prosperano e altre che falliscono, ma anche a livello di lavoratori, con alcuni che per forza di cose perderanno il lavoro e faranno fatica a ricollocarsi.

Le società e le istituzioni devono trovare il modo di sostenere i lavoratori colpiti e il loro ricollocamento in altri settori, attraverso percorsi di formazione e i giusti incentivi all’istruzione nei settori più promettenti. L’errore da evitare, secondo i loro studi, è impuntarsi a mantenerli dove non c’è più bisogno di loro, disincentivando così l’innovazione: significa proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro. Tanto che secondo lo stesso Aghion, intervistato a valle dell’assegnazione, “l’Europa deve riuscire a far conciliare le politiche sulla concorrenza con quelle industriali, specialmente in settori come quelli della difesa, dell’economia verde e del clima, dell’intelligenza artificiale e delle biotecnologie.

Da qui a tirare in mezzo Mario Draghi, il passo è stato breve. “Dalla metà degli anni 80 abbiamo avuto un declino, perché non riusciamo a attuare innovazioni cruciali, mentre si riescono a fare progressi nella Ue solo a livello di imprese medie e piccole”. Il neo premio Nobel ha citato il rapporto di Draghi e i rilievi sul fatto che nella Ue manca un vero mercato unico, “non c’è un appropriato mercato dei capitali” e nemmeno strutture adeguate a livello di ricerca applicata. Assist servito.


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