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Ecco come l’Olanda spinge avanti la diplomazia transatlantica dei droni

Con la doppia intesa firmata a Washington, i Paesi Bassi diventano il primo Paese europeo a partecipare pienamente al programma Cca americano, contribuendo alla definizione dei requisiti per il teatro europeo e aprendo la strada a una produzione congiunta transatlantica

L’asse transatlantico sullo sviluppo dei Collaborative Combat Aircraft (Cca), altrimenti noti come loyal wingmen o droni gregari, continua a divenire sempre più solido. Negli scorsi giorni l’Olanda, attraverso il suo ambasciatore sottosegretario per la difesa Gijs Tuinman, ha infatti firmato a Washington due accordi distinti ma profondamente interconnessi riguardanti il mondo dei Cca.

Il primo dei due accordi è stato stilato tra il dicastero della difesa olandese e General Atomics, e si incentra sullo sviluppo congiunto nuove capacità di difesa, a partire da un piccolo sistema aereo senza pilota (progettato per missioni multiruolo di intelligence, sorveglianza e ricognizione. L’accordo delinea un piano per la creazione di una piattaforma modulare a basso costo in grado di trasportare vari carichi utili per diverse esigenze operative, il cui primo volo è previsto entro la fine del 2025, mentre la produzione iniziale su piccola scala dovrebbe iniziare nel 2026 sia negli Stati Uniti che nei Paesi Bassi. Inoltre, la partnership prevede anche la creazione di capacità produttive nei Paesi Bassi a supporto della futura produzione su larga scala.

Il secondo accordo, una lettera d’intenti, è stato invece stretto con la U.S. Air Force, dove viene ufficializzata la partnership ufficiale dell’Olanda all’interno del programma Cca delle forze aeree di Washington, a cui il Paese nordico avrà “accesso totale […] su tutti i livelli”, anche con l’obiettivo di contribuire alla definizione dei requisiti operativi per il teatro europeo, allo stesso tempo rafforzando l’interoperabilità tra le forze aeree alleate.

I Paesi Bassi sono come un trampolino di lancio per gli Stati Uniti verso l’Europa. Abbiamo quindi sempre avuto relazioni transatlantiche molto solide. Questo è anche il mio messaggio: firmare l’accordo, ma anche esprimere la nostra comprensione per il messaggio degli Stati Uniti… secondo cui i Paesi Bassi e l’Europa dovrebbero assumersi una parte maggiore dell’onere” sono le parole usate da Tuinman con i giornalisti per commentare la firma degli accordi. Un commento è arrivato anche dall’ambasciatrice olandese a Washington, Birgitta Tazelaar, secondo la quale un maggiore investimento in difesa non significa solo rafforzare l’Europa, ma anche “costruire un sistema integrato in cui industrie europee e americane possano crescere insieme”.

Gli ultimi sviluppi si inseriscono in una tendenza più ampia, già emersa nel corso dei mesi passati, che vede le grandi imprese americane protagoniste nella corsa ai loyal wingmen cercare collaborazioni e joint venture con una serie di realtà europee. Da una parte c’è una logica economica: il crescente numero di fondi stanziati dai Paesi europei per le spese in difesa, fondi che dove possibile devono essere allocati presso produttori europei, ha suscitato il forte interesse delle aziende Usa a cercare di accaparrarsi una parte di queste risorse, costruendo forme giuridiche che le rendano in qualche modo “idonee” a divenire destinatarie di questi fondi.

Dall’altra parte, c’è anche un più ampio interesse strategico. Nel particolare contesto strategico europeo odierno, con una guerra che da tre anni si protrae appena fuori dai confini dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione europea e una crescente attività di droni russi ai confini della Nato, Washington ha mostrato una rinnovata assertività nel chiedere all’Europa di “prendersi le sue responsabilità” per quanto riguarda la propria sicurezza militare.

Fornendo all’Europa l’accesso a tecnologie avanzate e che con tutta probabilità saranno fondamentali nella guerra del futuro, gli Usa permettono ai propri partner di risparmiare tempo e denaro nello sviluppo di queste tecnologie da zero, ma impiegandole per migliorare quelle già esistenti. In una situazione “win-win” per entrambi i partner transatlantici.


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