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Ecco il nuovo volto della geopolitica della sicurezza nazionale

L’era digitale ha cambiato radicalmente il volto della geopolitica della sicurezza nazionale che si misura ormai, attraverso reti e dati e non più attraverso i confini territoriali. Il territorio perde la sua materialità, la forza sta quindi nel controllare i flussi di informazione. Solo uno sguardo d’insieme in grado di coniugare geopolitica, tecnologia e cultura, può garantire all’Occidente di sopravvivere in un mondo dove, l’informazione, è la nuova moneta di scambio. L’analisi di Pasquale Preziosa, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, membro esperto del Comitato scientifico Eurispes

L’era digitale ha trasformato in profondità la natura della sicurezza nazionale, ridefinendo i confini del potere, le forme della vulnerabilità e la struttura stessa della competizione geopolitica. Il concetto di geopolitica della sicurezza nazionale può essere inteso come la sintesi tra potere statale, infrastrutture digitali e resilienza cognitiva, che delinea una prospettiva sistemica capace di integrare le leve tradizionali del potere (Dime: Diplomatic, Informational, Military, Economic) con i nuovi domini dell’informazione e della tecnologia. In tale prospettiva, è necessario definire una cornice concettuale unitaria capace di orientare le dottrine di sicurezza nazionale nell’era della rete e dell’intelligenza artificiale.

La geopolitica classica, da Halford Mackinder a Nicholas Spykman, interpretava il potere degli Stati in funzione dello spazio fisico e della posizione geografica. La Heartland di Mackinder e il Rimland di Spykman costituivano il fulcro delle teorie strategiche del XX secolo, fondate sul controllo dei territori e delle vie di comunicazione. Nell’era digitale, tuttavia, il territorio si smaterializza: lo spazio della competizione si trasferisce nella rete, e il potere si misura nella capacità di connettere, controllare e proteggere i flussi di informazione.

Come afferma Manuel Castells, “il potere nella società delle reti non si esercita sul territorio, ma sui flussi”. In questo senso, la geopolitica contemporanea si riformula come geopolitica delle connessioni, nella quale la Sicurezza Nazionale dipende tanto dall’integrità territoriale quanto dalla sovranità digitale. Joseph Nye ha descritto la digitalizzazione come una transizione dal potere materiale al potere informativo, in cui la capacità di plasmare le percezioni e le narrative globali conta quanto la forza militare.

Il paradigma Dime — Diplomatic, Informational, Military, Economic — sintetizza le quattro leve fondamentali del potere statale, ma nell’era digitale esse non operano più come ambiti distinti: si fondono in una architettura integrata di potenza. In tale configurazione, il dominio informativo diventa il centro gravitazionale del potere. Le operazioni cognitive, le campagne di disinformazione e la manipolazione dei dati trasformano la mente collettiva nel nuovo campo di battaglia (R, Clarke, 2010). Come osserva Luciano Floridi, l’umanità abita oggi un’infosfera ovvero uno spazio ibrido tra reale e digitale, in cui l’essere umano è simultaneamente agente e oggetto d’informazione. La competizione geopolitica del XXI secolo si articola dunque attorno al controllo dei codici, delle infrastrutture digitali e degli standard tecnologici.

Nel concetto di Quarta rivoluzione industriale, Klaus Schwab mostra come la tecnologia stia ridefinendo la sovranità, creando una nuova gerarchia tra Stati innovatori e Stati dipendenti (K. Schwab, 2016).

Gli Stati Uniti dominano l’ecosistema digitale globale grazie alla centralità delle grandi piattaforme tecnologiche (Google, Amazon, Microsoft), mentre la Cina ha sviluppato un modello di cybersovranità, fondato sull’integrazione tra sicurezza informativa, autonomia tecnologica e controllo politico (Legge sulla Sicurezza Nazionale, 2015). L’Unione europea, al contrario, ha scelto la via normativa, promuovendo la resilienza regolatoria attraverso il Cyber Resilience Act e la Direttiva Nis2.

La geopolitica algoritmica, dunque, non riguarda più soltanto la geografia fisica, ma la geometria del potere digitale, in altri termini, chi controlla l’architettura delle reti, controlla la realtà percepita. Nel contesto digitale, la sicurezza nazionale non si riduce alla mera difesa, ma si configura come resilienza e robustezza, ovvero la capacità di assorbire gli shock, reagire a minacce complesse e mantenere la funzionalità vitale delle istituzioni e della società.

John Arquilla e David Ronfeldt avevano anticipato questa prospettiva introducendo il concetto di netwars, ovvero conflitti condotti da reti flessibili contro reti rigide (Rand Corporation, 2001). In tale logica, la difesa di uno Stato dipende dalla flessibilità delle sue infrastrutture cognitive, economiche e tecnologiche, che devono poter adattarsi rapidamente alle mutazioni dell’ambiente operativo.

La sicurezza nazionale assume così la forma di un equilibrio dinamico tra: prevenzione strategica, realizzata attraverso intelligence, diplomazia e deterrenza informativa, protezione tecnologica, fondata sulla cyber defence, la sicurezza delle supply chain e la tutela delle infrastrutture critiche e
resilienza cognitiva, intesa come sviluppo dell’educazione, del pensiero critico e della fiducia nelle istituzioni.

La nuova frontiera della geopolitica della sicurezza nazionale è la mente umana. Le operazioni cognitive, che mirano a manipolare opinioni e comportamenti attraverso l’uso integrato di informazione e tecnologia, rappresentano una minaccia diretta alla sovranità delle democrazie. Come osserva Yuval Noah Harari, “la battaglia per il futuro dell’umanità sarà combattuta nel campo della coscienza”.

In questa prospettiva, la sicurezza nazionale si estende oltre la dimensione militare o tecnologica, per abbracciare l’ambito educativo e culturale, fondamento della resilienza cognitiva. Tale concetto, introdotto nelle più recenti strategie Nato e dell’Unione europea, è oggi considerato un pilastro essenziale della sicurezza, poiché implica la formazione di cittadini capaci di distinguere tra informazione e propaganda, tra verità e costruzione artificiale. Una società informata, critica e coesa costituisce, in ultima analisi, la prima linea di difesa della Repubblica.

In questo quadro, l’Italia, come attore europeo e mediterraneo, necessita di una dottrina unitaria di sicurezza nazionale digitale, fondata su tre principi cardine:

– Integrazione del Dime, ossia la piena sinergia tra diplomazia, informazione, difesa ed economia in una strategia coerente e continua;
– Sovranità tecnologica, volta a sviluppare capacità nazionali e partnership strategiche nei settori dell’intelligenza artificiale, della cyber defence e del cloud sovrano;
– Educazione alla sicurezza, intesa come promozione di una cultura strategica che formi cittadini e istituzioni resilienti, consapevoli e partecipi della difesa dello Stato democratico.

La geopolitica della sicurezza nazionale nell’era digitale non si misura più attraverso i confini territoriali, ma attraverso le reti e i dati. Il potere statale dipende oggi dalla capacità di gestire la complessità, dominare l’informazione e preservare la fiducia dei cittadini, elementi costitutivi della legittimità politica. La sovranità, in questo nuovo paradigma, non consiste più nel possesso del territorio, ma nel controllo della memoria digitale e della percezione collettiva.

La sicurezza nazionale deve dunque essere intesa come funzione sistemica del potere, risultante dall’integrazione delle leve del Dime e dalla resilienza delle istituzioni democratiche. Solo una visione strategica integrata, capace di coniugare geopolitica, tecnologia e cultura, potrà garantire all’Italia e, più in generale, all’occidente, la capacità di sopravvivere e prosperare in un mondo in cui l’informazione è divenuta la nuova forma della forza.


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