Già nel recente passato i Carabinieri avevano lavorato fianco a fianco con la polizia palestinese, erano stati però richiamati nel 2023 per poi far rientro nel gennaio scorso con una mini delegazione e Rafah e Gerico per assicurare la formazione del personale locale. Un rapporto di fiducia, quindi, con territori e comunità
Aspetto umanitario e apporto militare sono le due frecce all’arco dell’Italia nella partita per il piano-Trump per Gaza, non fosse altro per la storica tradizione del nostro Paese in due settori delicati e, al contempo, assolutamente decisivi. Non solo lo hanno ribadito in Egitto i principali protagonisti, ma il binomio di azioni era già circolato da diverse settimane circa la postura del governo italiano, in modo particolare dopo che la triangolazione Washington-Gerusalemme-Doha aveva fatto l’ultima e decisiva accelerazione sulle condizioni dell’accordo.
Sul piano umanitario l’Italia ha un curriculum di tutto rispetto, come dimostra “Food for Gaza”, l’iniziativa messa in campo per coordinare gli aiuti nella striscia, potenziando l’assistenza umanitaria grazie al concorso di vari soggetti del pubblico, del privato italiani, e con la società civile, senza dimenticare altri attori della comunità umanitaria con base in Italia, tra cui il World Food Programme.
Come ribadito dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dieci giorni fa dinanzi alle Camere, il supporto italiano nella gestione dell’emergenza umanitaria è stato determinante. I numeri parlano chiaro: quasi 200 bambini palestinesi accolti per ricevere cure negli ospedali italiani, 15 operazioni umanitarie già effettuate, l’arrivo del primo gruppo di studenti e ricercatori palestinesi nelle università italiane e il programma Food for Gaza, che ha portato tonnellate di aiuti alimentari alla popolazione civile grazie al supporto di realtà italiane come la Coldiretti. “La nostra azione concreta e operativa non sarebbe immaginabile se l’Italia non fosse una realtà rispettata in tutto il mondo”, sottolineò il vicepremier.
Sul piano militare dovrebbero essere circa 250 i Carabinieri in procinto di partire per la Striscia di Gaza, a loro il compito di formare quella che sarà la nuova polizia palestinese, soprattutto con all’orizzonte un macro obiettivo: la prevenzione di atti terroristici, attività in cui i militari italiani rappresentano un’eccellenza riconosciuta. Dovrebbero essere affiancati dal Genio Militare dell’Esercito così da assicurare un know how altamente qualificato e a 360 gradi. Entrambi i gruppi faranno quindi parte della Forza di stabilizzazione internazionale (Isf) che dovrà garantire sicurezza e addestramento.
Già nel recente passato i Carabinieri avevano lavorato fianco a fianco con la polizia palestinese, erano stati però richiamati nel 2023 per poi far rientro nel gennaio scorso con una mini delegazione a Rafah e Gerico per assicurare la formazione del personale locale. Un rapporto di fiducia, quindi, con territori e comunità che l’Italia può vantare. A questo proposito va ricordato che da domani ripartirà la missione Eubam (European Union Border Assistance Mission) a Rafah per la riapertura del valico su due direzioni, in uscita verso l’Egitto e in entrata verso Gaza. Uno scenario di azioni pratiche a cui va sommato il dossier ricostruzione, tavolo dove l’Italia punta ad essere seduta in pianta stabile.