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Witkoff e Kushner spiegano la fase due del piano per Gaza. Perché è importante secondo Mayer

Stamani è giunto in Israele Steve Witkoff, con Jared Kushner, per fare il punto della situazione e con l’obiettivo di avviare la fase due del piano come anticipato alla CBS. In effetti la lunga intervista di Leslie Stahl a Witkoff e a Kushner, sul negoziato che ha portato al cessate il fuoco e al piano di Sharm el-Sheik, è di grande interesse. Il commento di Marco Mayer

Dopo una domenica difficile caratterizzata da un attacco alle forze israeliane e dalla conseguente risposta delle Idf, il cessate il fuoco da ieri sera è nuovamente entrato in vigore.

Stamani è giunto in Israele Steve Witkoff, insieme a Jared Kushner, per fare il punto della situazione e con l’obiettivo avviare la fase due del piano come anticipato alla CBS. In effetti la lunga intervista di Leslie Stahl a Witkoff e a Kushner sul negoziato che ha portato al cessate il fuoco e al piano di Sharm el-Sheik è di grande interesse e merita di essere ascoltata dai decisori politici, dalle cancellerie, ma anche dal grande pubblico.

Di seguito un breve riassunto degli aspetti che mi hanno più colpito. La notizia è che a Gaza si sta lavorando per creare una nuova “buffer zone” – al di là della linea gialla – per accogliere i palestinesi che per ragioni di sicurezza devono uscire dalle aree ancora controllate da Hamas. Per quanto riguarda l’avvio della fase due vi è inoltre la conferma che in Egitto e in Giordania sono stati formati migliaia di poliziotti pronti a prendere il controllo della Striscia contemporaneamente al dispiegamento della forza multinazionale. In merito all’attività che hanno svolto nelle ultime settimane Kushner e Witkoff hanno raccontato numerosi episodi. Per ragioni di spazio mi limito qui ad elencarne alcuni: a) la grande differenza della loro valutazione rispetto ai rapporti della Cia che prevedevano un esito negativo del processo negoziale; b) l’importanza politicamente cruciale delle scuse di Netanyahu al Qatar dopo l’attacco israeliano a Doha; c) i loro frequenti rapporti diretti e senza intermediazione con i vertici dei Paesi arabi e musulmani con cui avevano già da anni ottime relazioni; d) i limiti dell’approccio della mediazione problem solving; e) il fattore cruciale della fiducia come precondizione indispensabile neccessaria prima ancora che si esplori la gamma di soluzioni fattibili; e) l’importanza di poter negoziare in fasi successive le modalità attuative del piano; f) la possibilità di potere interloquire direttamente con la delegazione di Hamas in un momento in cui appariva assolutamente necessario; g) la possibiltà offerta ai due negoziatori di partecipare in prima persona alla seduta del governo israeliano in cui si esaminava il piano in 20 punti, approvato dall’esecutivo con quattro voti contrari.

 


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