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L’assedio ibrido di Mosca e le risposte di Varsavia. Reportage dal Fianco Orientale

Per Mosca, la disinformazione è un’arma, al pari dei missili ipersonici e dei droni che invadono lo spazio aereo europeo. Per contrastare e rispondere a queste offensive, la Polonia ha deciso di non limitarsi a subire, ma di rispondere alle fake news con i fatti e con un nuovo approccio al contrasto alla disinformazione. Ecco la terza ultima parte di un reportage in tre puntate dalla Polonia: il racconto di un viaggio ai confini dell’Europa tra deterrenza, disinformazione e sicurezza comune

Qui la prima parte del reportage – Un East Shield a difesa dell’Europa. Reportage dal Fianco Orientale

Qui la seconda parte del reportage – Così la nuova Polonia guarda a Est e a Ovest. Reportage dal Fianco Orientale

In Polonia non è inusuale imbattersi in cartelli gialli che riportano il divieto di far volare droni Fpv – i quadricotteri commerciali, per intendersi – in prossimità di edifici governativi o di altri luoghi sensibili. Non che avvisi simili manchino in Europa occidentale, ma la presenza di questo tipo di segnaletica a Varsavia, come in altre parti della Polonia, è ormai interiorizzata come parte del panorama quotidiano. Si tratta di misure di sicurezza necessarie, non solo per il timore di attacchi terroristici, ma anche perché lo spionaggio e le azioni di destabilizzazione portate avanti dalla Russia sfruttano questi e altri mezzi per carpire segreti e condurre la propria information war. Quello che Mosca conduce contro l’Europa – e contro la Polonia, in particolare – è un vero e proprio assedio ibrido. Le modalità con cui questo assedio viene condotto sono molteplici, dalla diffusione di fake news sui media e i social network ai sabotaggi, passando per la crisi migratoria “orchestrata” al confine bielorusso e per gli “incidenti” legati ai droni. 

Molto si è discusso dei droni che nella notte tra il 9 e il 10 settembre sono stati intercettati e abbattuti nello spazio aereo polacco. Le autorità di Varsavia hanno denunciato immediatamente l’alta probabilità di matrice russa, pur riservandosi di condurre le dovute indagini per accertare cause e modalità. Queste indagini sono ora concluse e il verdetto è chiaro: dietro l’attacco ci sono le Forze armate e l’intelligence di Russia e Bielorussia. A confermarlo sono i servizi segreti di Varsavia, che hanno esaminato i tracciati radar e i resti dei 21 velivoli a pilotaggio remoto abbattuti dalle forze aeree della Nato il mese scorso. Le indagini hanno rilevato che alcuni dei droni – prevalentemente Shahed-136 e Geran-2 di progettazione iraniana, oltre a diversi assetti esca – sono decollati dalla Bielorussia, mentre altri sono stati lanciati da dentro il territorio russo. Tra i resti dei velivoli sono stati trovati dei serbatoi di carburante aggiuntivi che hanno esteso l’autonomia e il raggio d’azione dei droni ben oltre le loro capacità di fabbrica, il che nullifica l’alibi di Mosca riguardo l’impossibilità di colpire la Polonia dal proprio territorio. Parimenti, i servizi di informazione di Varsavia non dubitano che i vari incidenti negli aeroporti europei delle ultime settimane siano attribuibili all’intelligence russa. È probabile che Mosca abbia fatto tesoro dell’amara lezione impartitale dall’operazione Spiderweb, quando le Forze armate ucraine hanno colpito in profondità gli aeroporti russi, lanciando dei droni da dentro il territorio stesso della Federazione. Similmente, i droni che hanno seminato caos e disagi negli scali europei potrebbero essere stati facilmente lanciati da operativi russi – o comunque riconducibili a Mosca. 

È risaputo che la guerra ibrida che la Russia conduce almeno dal 2013 nei confronti dell’Europa abbia come obiettivo primario la destabilizzazione sistematica degli Stati del Vecchio continente. Tale obiettivo, riassumibile nell’end state di delegittimare le istituzioni democratiche, favorire la narrativa pro-russa, erodere il supporto all’Ucraina e seminare discordia tra gli Stati europei, viene perseguito tramite uno schema ripetuto e riconoscibile. “Ad ogni attacco, cinetico e non, segue sempre una vasta operazione di disinformazione”, spiega una fonte governativa polacca. Al principio vi è sempre un incidente o un evento politicamente rilevante, come un assalto alla barriera confinaria, l’incendio di uno scalo logistico, il sorvolo di un drone sospetto, un attacco hacker o la comparsa di simboli neo-nazisti durante le manifestazioni pubbliche. A questa prima fase, in cui si costruisce un incidente di difficile attribuzione, segue sempre e puntualmente un’ondata di Dezinformatsiya.

Ogni evento viene accuratamente rilanciato e fatto rimbalzare su social, testate freelance e forum di discussione, manovrandone i dettagli per indirizzare il sospetto e la rabbia popolare verso un ampio ventaglio di bersagli, dal governo alle istituzioni europee. I video che ritraggono i migranti africani e asiatici sfondare le recinzioni e riversarsi all’interno del territorio polacco (accuratamente tagliati per non mostrare il momento in cui le Guardie di Frontiera li intercettano) servono a sostenere l’idea di un’invasione straniera del Paese più cattolico dell’Est Europa, avallata dal governo e dall’Unione europea. Parimenti, il fattore religioso viene sfruttato per mettere in una luce negativa i rifugiati ucraini, di confessione ortodossa, che divengono bersaglio di una narrativa che li descrive come criminali, neonazisti e ingrati approfittatori della solidarietà polacca. Sempre sul piano interno, alcune operazioni hanno l’obiettivo di convincere l’opinione pubblica che una parte consistente della stessa sia contraria al supporto a Kyiv.

È il caso che ha visto protagonista un cittadino venezuelano che, sotto compenso in Bitcoin, si è aggirato per il Paese provocando incendi in centri commerciali e hub logistici civili. Il sabotatore, istruito su dove reperire i materiali esplosivi e incendiari infiltrati illegalmente in Europa dal Gru (l’intelligence militare russa), aveva la direttiva – anche in questo caso – di filmare l’evento. Tale filmato sarebbe stato poi rilanciato dai servizi di Mosca che, tramite schiere di bot e troll, avrebbero raccontato che l’incendio fosse stato appiccato in un centro di smistamento di aiuti militari per l’Ucraina da cittadini polacchi stanchi del supporto a Kyiv. Il sabotatore ha poi lasciato il Paese, ma la collaborazione con i servizi segreti della Repubblica Ceca ha permesso di rintracciarlo e arrestarlo. Un esempio, emblematico, di come l’Europa non possa più permettersi l’eccessiva compartimentazione d’intelligence che ancora oggi la contraddistingue. La mancanza di un sistema di information sharing, costante e istituzionalmente strutturato, non solo rende molto più semplice condurre questo tipo di operazioni sotto copertura in diversi Paesi, ma provoca diffidenza tra gli Alleati e li espone a rischi concreti di intelligence failure.

Ci sono casi in cui le ondate di Dezinformatsiya sono talmente ben orchestrate e condotte da provocare veri e propri sommovimenti popolari. Nel maggio del 2024, un attacco informatico alla principale agenzia di stampa polacca ha diffuso un articolo che annunciava la mobilitazione di 200mila cittadini polacchi che sarebbero stati inviati a combattere in Ucraina nel luglio dello stesso anno. Vista la provenienza della notizia, i media nazionali hanno immediatamente dato per buona l’informazione, rilanciandola su tutti i canali di comunicazione. Ciò ha rischiato di provocare proteste diffuse nel Paese, che a loro volta sarebbero state distorte e amplificate per minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Per mettersi al riparo da questi rischi, il governo ha optato per una strategia rivelatasi vincente: mettere direttamente in contatto gli organi di informazione con i servizi segreti.

Tramite la figura di Jacek Dobrzyński, portavoce del ministro-coordinatore dei Servizi speciali polacchi, le strutture di intelligence mantengono adesso una comunicazione costante con la stampa e i media. Parlando con Dobrzyński, è emerso chiaramente che, per quanto ossimorica possa suonare l’idea di un portavoce dei servizi “segreti”, l’impiego di tale figura garantisce da un lato una costante operazione di fact-checking sulle notizie, e dall’altro permette all’intelligence polacca di monitorare le attività e l’intensità della Dezinformatsiya russa. Il risultato è una risposta efficiente e coordinata alla disinformazione di matrice russa, un modello di contrasto che forse dovrebbe essere preso in considerazione anche dagli altri Paesi europei. “Una guerra informativa è potenzialmente più pericolosa di una guerra vera e propria, perché ha l’obiettivo di seminare il caos”, spiega lo stesso Dobrzyński, il quale riconduce tutte le mosse portate avanti da Mosca al medesimo obiettivo di destabilizzare il fronte occidentale. “La Russia vuole seminare dubbi e alimentare tensioni tra gli europei e gli ucraini, oltre che tra gli stessi europei”. 


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