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Manovra, cosa chiedono le imprese al governo

Dalle categorie produttive ricevute a Palazzo Chigi da Giancarlo Giorgetti, Alfredo Mantovano, Antonio Tajani e Adolfo Urso, emerge lo stesso messaggio arrivato dagli imprenditori dell’Assolombarda. Buona manovra, ma lavorare su fisco e investimenti. Domani la finanziaria alla prova del Consiglio dei ministri

Nella quarta manovra firmata da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti mancherebbe qualcosa, a sentire le imprese: la crescita. A 24 ore dall’approdo sul tavolo del Consiglio dei ministri della legge di Bilancio, per stessa ammissione del governo decisamente improntata alla tutela dei conti pubblici (operazione fin qui, come dimostrano mercati e giudizi delle varie agenzie di rating), arriva il punto di vista delle imprese, il fianco più esposto a ogni finanziaria che si rispetti. Nessuno discute la coerenza e la tenuta di una manovra che cuberà circa 16 miliardi di euro e con il baricentro ben saldo sul taglio dell’Irpef (due punti percentuali di aliquota per i redditi compresi tra 28 e 50 mila euro).

“Credo che manca molto la parola crescita nella legge di Bilancio che stiamo affrontando. La parola crescita”, ha chiarito il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, dinnanzi agli imprenditori dell’Assolombarda, “è fondamentale per creare certezza. Apprezzo il lavoro fatto dal ministro Giorgetti sul contenimento dei conti pubblici. Ma la crescita si fa con investimenti. Investimenti che ci servono per essere competitivi. Noi abbiamo l’obbligo per essere più competitivi”. Quella di Orsini, però, non è stata l’unica voce della vigilia della manovra. Mentre andava in scena l’assise degli imprenditori delle province di Lodi, Pavia, Milano, Monza e Brianza, a Roma lo stesso Giorgetti riceveva le delegazioni di altre categorie produttive. Con il responsabile dell’Economia, intorno al tavolo, anche il ministro per le Imprese, Adolfo Urso e il sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano.

E il filo conduttore sembra essere lo stesso, va bene i conti pubblici, ma bisogna spingere di più sull’industria. “Il quadro di crescita delineato nel Documento programmatico di finanza pubblica”, ha per esempio avvertito Confcommercio, “resta improntato alla cautela, con un incremento tendenziale del Pil pari allo 0,5% nel 2025 e allo 0,7% nel 2026 e previsioni prudenziali anche per il biennio successivo. Pur in presenza di un’inflazione stabile e di un’occupazione in aumento, la fiducia delle famiglie resta fragile condizionando la dinamica dei consumi”.

Secondo il vicepresidente Donatella Prampolini, “la manovra si intreccia, inevitabilmente, con la Legge delega al governo per la riforma fiscale che resta imprescindibile per lo sviluppo e la crescita del Paese. In particolare, è urgente ridurre la seconda aliquota Irpef dal 35% al 33%, innalzare il corrispondente scaglione di reddito da 50.000 euro a 60.000 euro, e valutare interventi di alleggerimento del prelievo fiscale sugli aumenti contrattuali e sulle tredicesime” Confcommercio, in tal proposito, propone di rendere strutturale l’Ires premiale per le società che investono in innovazione e creano nuova occupazione e di avanzare nel processo di abolizione dell’Irap a cui sono ancora sottoposte le società di persone e quelle di capitali.

Anche Confindustria era presente a Palazzo Chigi, nella persona del vicepresidente Angelo Camilli. “Alla luce delle indicazioni fornite dal governo sul quadro generale della prossima manovra, come Confindustria abbiamo ancora una volta espresso preoccupazione per la mancanza, al momento, di misure forti a sostegno degli investimenti. Misure quanto mai necessarie in un quadro come quello attuale che vede una crescita prossima allo zero sostenuta principalmente dal Pnrr”.

“Abbiamo ribadito la necessità di dare piena attuazione al piano straordinario da noi proposto, puntando su interventi concreti per rilanciare gli investimenti, rafforzare l’accesso al credito e valorizzare ed estendere il modello delle Zes. Siamo a rischio stagnazione. Servono otto miliardi l’anno per non fermasi. Da gennaio terminano tutti gli incentivi e l’industria italiana è nuda, senza strumenti per competere in uno scenario dominato da incertezza, dazi e rischio delocalizzazione”, ha chiarito Camilli.

Insomma, le imprese, piccole o grandi che siano, vogliono di più. Il governo, però, non si è fatto trovare impreparato all’appuntamento con le imprese. “Siamo in procinto di varare la manovra di bilancio dopo aver riprogrammato i fondi del Pnrr e, come dissi qualche mese fa, le due cose andavano viste e coniugate insieme i fondi del Pnrr. Con l’ultima riprogrammazione, le risorse destinate al Ministero delle imprese e quindi a voi, al sistema produttivo, sono aumentate rispetto ai 19 miliardi originari di oltre un terzo: la dotazione del nostro dicastero del Pnrr è pari a oltre 30 miliardi”, ha rassicurato lo stesso Urso.  “Se a questi, aggiungiamo quelli che ha ottenuto in più il Ministero dell’Agricoltura per le imprese agricole ci rendiamo conto di quanto importante sia l’impresa per questo governo. Dopo aver aumentato in maniera così significativa l’utilizzo delle risorse del Pnrr nei ministeri per le imprese, ora con la legge di bilancio, consapevoli quanto difficile sia la fase per tenere nel giusto conto le esigenze del bilancio pubblico, faremo il resto”.


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