Skip to main content

L’Intelligence come nuova forma di cultura. La riflessione di Caligiuri

Di Mario Caligiuri

Nell’epoca della sovrabbondanza informativa, l’Intelligence emerge come una nuova forma di cultura: un sapere capace di unire discipline e di leggere i segni del tempo. Pubblichiamo l’estratto del volume “Intelligence”, Treccani, a firma del professore Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence e direttore del master in Intelligence (Università della Calabria), che sarà presentato il 30 ottobre insieme a Massimo Bray, Bernardo Mattarella, Lorenzo Guerini e Vittorio Rizzi presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana (Sala Igea – Palazzo Mattei di Paganica)

Tutti i fenomeni sociali si comprendono innanzitutto attraverso la cultura e le parole. Pertanto l’Intelligence può essere vista come una scienza nuova, perché frantuma tutti i percorsi disciplinari esistenti. È una forma avanzata di cultura, intesa come visione del mondo, che oggi, più che conoscenza del passato, significa capacità di prevedere l’avvenire.

L’intelligence diventa così il punto di incontro di diverse forme di conoscenza, e rappresenta il terreno dove si vince o si perde la sfida del futuro. Attualmente lo scenario inevitabile è la guerra tra l’intelligenza umana, formatasi in migliaia di anni, e quella artificiale, in corsa per realizzare l’algoritmo definitivo, che programma sé stesso. È questo il filo rosso che si dipana lungo tutto il testo. Uno scenario per comprendere il quale è fondamentale saper cogliere i segni dei tempi.

Per descrivere la condizione in cui siamo immersi si può partire dalla conclusione del film tratto dal romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa (1980, p. 19), ambientato “sul finire dell’anno del Signore 1327 in un’abbazia di cui è bene e pio tacere anche il nome” . L’intera vicenda ruota attorno a un volume maledetto: il secondo libro della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e al riso. Alla fine del film, Guglielmo da Baskerville dice al novizio Adso da Melk: Tu hai vissuto in questi giorni, mio povero ragazzo, una serie di avvenimenti in cui ogni retta regola sembrava essersi sciolta, ma l’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente.

E la verità si manifesta a tratti anche negli errori del mondo, cosicché dobbiamo decifrarne i segni, anche là dove ci appaiono oscuri e intessuti di una volontà del tutto intesa al male (Annaud,1986). L’Intelligence, dunque, serve per decifrare i segni e cogliere lo spirito del tempo, perché chi comprende prima è più avanti. Come ricorda Yuval Noah Harari (2017, p. 7), “In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere» . Comprendere la realtà è fondamentale per descriverla, processo che avviene attraverso le parole, con le quali la identifichiamo facendole prendere forma e vita. Scrive Walter Siti che “siamo in questo mondo per capire le cose” (Mazza Galanti, 2019), mentre nella Bibbia si spiega che siamo in questo mondo per dare un nome alle cose (Genesi 2, 19), perché è attraverso le parole che la realtà assume significato.

Le parole valgono e vanno usate con consapevolezza e intelligenza, e non a caso la trasformazione radicale in cui siamo immersi incide prima di tutto sulle parole. L’antropologo indiano Arjun Appadurai (2016) parla di cedimento linguistico nel senso che le parole non sono più in grado di descrivere la realtà. Infatti, continuiamo a usare termini, concetti culturali, categorie mentali, teorie pedagogiche, dottrine giuridiche che fanno riferimento a un mondo in via di estinzione. È questa l’incertezza più profonda, dalla quale discendono tutte le altre. Nella ricerca di un nuovo alfabeto del mondo, l’Intelligence rappresenta una possibilità per interpretare il presente e intravedere le luci dell’avvenire.

 


×

Iscriviti alla newsletter