Assegnato a Brunkow, Ramsdell e Sakaguchi il Nobel per la Medicina 2025. Le loro scoperte sulle cellule T regolatorie e il gene Foxp3 hanno svelato i meccanismi che impediscono al sistema immunitario di attaccare il corpo umano, aprendo nuove vie per la cura di tumori e malattie autoimmuni. Per illustrare la portata di questo Nobel Healthcare Policy ha parlato con gli immunologi Sergio Abrignani e Francesco Le Foche
Un premio alla conoscenza dei meccanismi più profondi del nostro corpo e, insieme, alla speranza di nuove terapie per malattie ancora oggi senza cura. Il Nobel per la Medicina 2025 è stato assegnato agli statunitensi Mary E. Brunkow e Fred Ramsdell, e al giapponese Shimon Sakaguchi, per le loro scoperte sulla tolleranza immunitaria periferica – il sistema di “freni” che impedisce alle nostre difese di rivolgersi contro se stesse. Secondo il Comitato del Nobel, i tre scienziati “hanno identificato i guardiani del sistema immunitario, le cellule T regolatrici, che impediscono alle cellule immunitarie di attaccare il nostro stesso organismo”. Una scoperta che, come ha spiegato Olle Kämpe, presidente del Comitato per il Nobel, è stata decisiva “per la nostra comprensione del funzionamento del sistema immunitario e del motivo per cui non tutti sviluppiamo gravi malattie autoimmuni”.
I VINCITORI
Brunkow, 64 anni, lavora a Seattle presso l’Institute for Systems Biology; Ramsdell, 65 anni, è oggi consulente scientifico della biotech californiana Sonoma Biotherapeutics; Sakaguchi, 74 anni, insegna all’Università di Osaka ed è considerato il pioniere delle ricerche sulle cellule T regolatrici, scoperte nel 1995.
GLI STUDI
“È stato dato il premio nobel a due ricerche fondamentali. Una che studia le cellule CD4+ e CD25+, che sono le cellule Treg (T regolatrici), depositarie del controllo dell’eccesso dell’immunità. L’altra che studia il gene Foxp3, responsabile dello sviluppo dello delle cellule Treg”, ha spiegato Francesco Le Foche, immunologo clinico e allergologo, già dirigente del DH di immunoinfettivologia Policlinico Umberto I di Roma a Healthcare Policy per Formiche.net. Infatti proprio da quei primi studi effettuati da Sagakuchi è nata una catena di scoperte che ha condotto all’identificazione del gene Foxp3, responsabile dello sviluppo delle cellule T regolatrici. Brunkow e Ramsdell ne avevano osservato le mutazioni nel 2001, collegandole a una rara malattia autoimmune. Sakaguchi, due anni più tardi, dimostrò che quel gene governava lo sviluppo delle cellule identificate nel 1995. “Il sistema immunitario è molto potente e ha bisogno di freni – ha spiegato la giuria – altrimenti rischia di danneggiare i nostri stessi organi”.
LA PAROLA ALL’ESPERTO
“Il motivo per cui siamo tolleranti verso noi stessi e, quindi, il nostro sistema immunitario non aggredisce i nostri organi è perché abbiamo in periferia, in tutti gli organi, queste cellule T regolatorie che evitano che altre cellule potenzialmente autoreattive attacchino i nostri stessi organi”, ha spiegato a Healthcare Policy per Formiche.net Sergio Abrignani, professore di immunologia e immunopatologia presso l’Università Statale di Milano . “Ci sono due modi per evitare che le cellule attacchino noi stessi, il self – ha proseguito Abrignani – uno era già conosciuto negli anni sessanta, il timo, che, fungendo da filtro, eliminava queste cellule autoreattive. Poi si è visto che in realtà il sistema centrale del timo non era esclusivo. Tutti noi, dunque, abbiamo in periferia delle cellule che aggredirebbero noi stessi in assenza delle Treg”.
LE RICADUTE CLINICHE
Le ricadute cliniche di questa scoperta, oggi, si estendono ben oltre le malattie autoimmuni. “Sono stati premiati con il premio Nobel perché queste scoperte favoriscono sia la componente terapeutica, aprendo la strada per la terapia genica nelle patologie autoimmuni e sia in campo oncologico dove rappresentano una nuova strada per combattere anche le cellule neoplastiche”, ha aggiunto Le Foche. Le cellule tumorali infatti riescono spesso a ingannare il sistema immunitario. “In condizioni normali più della metà dei tumori potenziali non si svilupperà mai nel corso della vita: il sistema immunitario li riconosce e li elimina nelle fasi iniziali, quando le cellule iniziano ad accumulare mutazioni. Nei casi in cui invece la malattia si manifesta, il tumore è riuscito a parassitare le cellule T regolatorie, inducendo l’organismo a considerarlo come parte di sé. In pratica, il sistema immunitario viene convinto che quel tessuto ‘mutato’ sia un organo da proteggere in quanto self, non un nemico da combattere. L’immunoterapia, che è valsa il Nobel per la medicina nel 2018 a James P. Allison e Tasuku Honjo, si basa proprio su queste scoperte”, ha spiegato Abrignani.
UN NOBEL MERITATO
Si tratta di un “Nobel meritato per due aspetti fondamentali”, ha aggiunto il professore della statale di Milano, “da un lato, per la nuova conoscenza, infatti grazie a queste scoperte abbiamo potuto comprendere come è regolata la tolleranza attraverso la definizione di queste cellule e la comprensione del meccanismo di funzionamento delle stesse, dall’altro abbiamo anche identificato come i tumori sfuggono all’eliminazione da parte del sistema immunitario”. Il riconoscimento va dunque a chi ha gettato le basi di un campo nuovo, con un impatto profondo non solo sulla comprensione delle patologie autoimmuni, ma anche sullo sviluppo di nuovi approcci terapeutici in oncologia, dove il controllo della risposta immunitaria è cruciale.
Il Nobel per la Medicina è il primo dei premi assegnati quest’anno. Domani sarà la volta della Fisica, poi della Chimica, della Letteratura e, infine, del Nobel per la Pace.