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Pakistan, l’offerta del porto di Pasni e il nuovo equilibrio tra Washington e Pechino

Il Pakistan offre a Trump il porto di Pasni, incastrato tra Oceano Indiano e Belt and Road. Islamabad gioca su un terreno complesso, in equilibrio con Pechino, mentre cavalca l’interesse di Washington

Secondo quanto riportato dal Financial Times, diversi consiglieri del capo dell’esercito pakistano, il potentissimo Asim Munir, avrebbero contattato l’amministrazione Trump proponendo agli investitori statunitensi la costruzione e la gestione di un porto commerciale nel villaggio di Pasni, sulla costa del Belucistan, affacciata sul Mar Arabico. L’infrastruttura, nelle intenzioni dei promotori, servirebbe a facilitare l’accesso degli Stati Uniti ai minerali critici del Pakistan, anche attraverso lo sviluppo di un terminal ferroviario dedicato.

Le autorità di Islamabad hanno negato che Munir disponga di “consiglieri ufficiali”, ma non hanno smentito che la proposta sia stata avanzata. Come osserva Michael Kugelman nel suo South Asia Brief per Foreign Policy, anche un’iniziativa informale di questo tipo offre uno spaccato utile di come si stia evolvendo il pensiero strategico pakistano.

Un segnale a Washington

Il primo elemento di rilievo è geopolitico: l’offerta indica la volontà di Islamabad di riequilibrare i rapporti con gli Stati Uniti e la Cina. Negli ultimi anni, il legame con Pechino si è consolidato, spinto dai progetti infrastrutturali e dalla cooperazione militare all’interno della Belt and Road Initiative (BRI). Ma con il secondo mandato di Donald Trump, le relazioni con Washington hanno conosciuto una certa ripresa, soprattutto sul piano militare e dell’intelligence.

Pasni dista appena 70 miglia da Gwadar, il porto che la Cina cerca da tempo di trasformare in un hub strategico regionale, con risultati finora modesti. Un’infrastruttura statunitense così vicina non piacerebbe a Pechino, soprattutto se destinata al traffico di minerali critici, settore dove la competizione globale è in pieno sviluppo. Tuttavia, osserva Kugelman, la mossa non romperebbe necessariamente con la Cina: potrebbe anzi servire a Islamabad per mostrare a Washington la volontà di diversificare e di riaprire spazi di cooperazione economica e strategica.

Il nodo della sicurezza in Belucistan

Il secondo elemento è interno. La proposta del porto di Pasni sembra anche un tentativo di coinvolgere indirettamente gli Stati Uniti nella sicurezza del Belucistan, una regione ricca di risorse ma segnata da instabilità cronica. Il governo pakistano fatica da anni a controllare un territorio in cui agiscono gruppi jihadisti e milizie separatiste beluci che prendono di mira infrastrutture e interessi statali.

Nel 2022 Washington ha designato il Balochistan Liberation Army come organizzazione terroristica, aggiungendola alla lista che già includeva il Tehrik-i-Taliban Pakistan e l’ISIS-Khorasan. Secondo Kugelman, un maggiore coinvolgimento economico americano nella regione potrebbe tradursi in un incremento della cooperazione antiterrorismo — un obiettivo che alcuni attori di Islamabad potrebbero considerare utile in questa fase.

Un progetto improbabile, ma significativo

Resta improbabile che un accordo formale sul porto si concretizzi. Il Pakistan potrebbe non voler aggiungere un ulteriore rischio di sicurezza in un’area instabile, e un’iniziativa del genere irriterebbe anche l’Iran, il cui confine si trova a un centinaio di miglia da Pasni. Dal canto suo, l’amministrazione Trump potrebbe essere interessata all’accesso alle risorse minerarie e all’influenza geopolitica, ma riluttante a gestire un progetto infrastrutturale in un contesto così volatile.

Più che un progetto destinato a realizzarsi, l’offerta di Pasni appare quindi come un indicatore della direzione che il Pakistan sta esplorando: una strategia di bilanciamento tra potenze, in cui l’esercito cerca di mantenere margini di manovra in un ambiente regionale sempre più competitivo. Come conclude Kugelman, “il porto di Pasni potrebbe non vedere mai la luce, ma rivela molto su come Islamabad sta ripensando le proprie scelte strategiche”.


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