Dopo le gravi difficoltà iniziali, la Russia ha costruito un ecosistema di apprendimento militare capace di trasformare le lezioni del campo di battaglia in dottrina, innovazione industriale e nuove tattiche. Un processo che l’Occidente non può permettersi di ignorare
Nella comunità strategica occidentale intesa in senso più ampio è molto diffusa l’opinione per cui l’apparato militare russo sarebbe una sorta di lento e goffo mastodonte, che sfrutta la forza bruta garantitagli dalla sua gargantuesca stazza e non si cura di affinare le sue abilità. Un’opinione in parte fondata, soprattutto se si pensa ai fatti del 2022, quando tutte le criticità e le debolezze di una forza armata impreparata sono bruscamente emerse nel combattere un conflitto che inizialmente doveva durare soltanto tre giorni, e che invece ancora oggi, a distanza di più di tre anni, continua ad infuriare violentemente, senza che all’orizzonte si veda alcuna risoluzione data dagli sviluppi sul campo di battaglia.
Tuttavia, questa interpretazione rischia di escludere dal computo analitico, talvolta per scarso accesso alle fonti, talvolta per faziosa cecità, importanti fattori che contribuiscono a fornire un risultato decisamente diverso. Il Cremlino ha infatti mostrato in più occasioni di saper adattare la propria struttura militare attraverso l’intero spettro che va da quello del singolo individuo, arrivando fino alla dimensione industriale.
Un’esperta di Russia del calibro di Dara Massicot, Senior Fellow nel programma Russia ed Eurasia presso la Carnegie Foundation, nonché ex senior researcher presso la Rand Corporation e senior analyst presso il Dipartimento della Difesa Usa, ricostruisce su Foreign Affairs il processo di apprendimento e adattamento strategico portato avanti da Mosca nel corso del conflitto in Ucraina. Secondo Massicot, a partire dal 2022 la Russia ha sviluppato un efficiente ecosistema di innovazione militare, trasformando le lezioni raccolte sul campo in linee guida operative, programmi di addestramento e decisioni industriali. Se un primo momento il processo di adattamento avveniva perlopiù in modo informale, con consigli relativi alla dimensione tattica che circolavano tra unità tramite social network chiusi e manuali autoprodotti, nelle fasi successive il Cremlino ha istituzionalizzato questo processo, inviando ricercatori e ufficiali ai posti di comando per osservare direttamente le operazioni, analizzare registri e interviste, e produrre rapporti condivisi con lo Stato maggiore, le accademie militari e l’industria della difesa. Entro il 2023, questa rete ha portato alla revisione sistematica dei manuali di combattimento, alla creazione di commissioni dedicate a Mosca e alla diffusione strutturata delle “lezioni apprese” attraverso bollettini, workshop e conferenze.
L’implementazione di questo meccanismo ha permesso una serie di innovazioni tattiche e tecnologiche. La Russia ha migliorato le proprie capacità di ricognizione e attacco con droni, incrementato la produzione e la resilienza dei sistemi missilistici, aggiornato veicoli corazzati e rafforzato la guerra elettronica; parallelamente, ha integrato startup e università civili nei programmi di ricerca militare, riducendo il gap tecnologico con Kyiv e trasformando aree inizialmente deboli (come l’impiego dei droni) in settori di forza.
Tuttavia, questo processo di adattamento non cancella i limiti strutturali che continuano a pesare sulla macchina militare russa. Mosca fatica ancora a implementare pienamente le riforme identificate a livello centrale, a causa di problemi cronici di disciplina, scarsa professionalità e forti disomogeneità tra reparti. Permangono lacune nella qualità del personale, nelle capacità di coordinamento tra unità e nella catena di comando che incidono sull’efficacia complessiva. A ciò si aggiungono vincoli economici e tecnologici derivanti dalle sanzioni occidentali, che limitano l’accesso a componenti avanzati e la possibilità di produrre sistemi d’arma di nuova generazione su larga scala.
Nel complesso, delinea l’esperta, “Mosca sta sistematicamente raccogliendo, analizzando e diffondendo le lezioni apprese in guerra lungo tutta la sua macchina militare e industriale. Sta costruendo le basi per riforme future e per un ciclo di apprendimento continuo, che la renderà più pronta ad affrontare i conflitti ad alta intensità dei prossimi anni. Se l’Occidente smetterà di osservare e trarre insegnamento da questa trasformazione, rischia di trovarsi in una posizione di netto svantaggio”.
Quest’ultima tesi merita particolare attenzione. Basti pensare a come la stessa comunità strategica che tende a vedere la capacità militare russa come tanto massiccia quanto arretrata è rimasta sorpresa dalla notizia che i vettori missilistici di Mosca stanno imparando ad eludere i sistemi di difesa aerea Patriot, gioiello tecnologico dell’industria bellica occidentale. Uno sviluppo che contribuisce inoltre a rendere ancora più marcata l’incapacità dell’Europa di difendersi in modo efficace da eventuali attacchi russi condotti con droni (che Mosca adesso produce in ampie quantità, a dispetto di quanto succede a Ovest), missili o gliding bombs, con i piani di “Difesa missilistica europea” che sembrano ancora ben lontani da un loro perfezionamento. Questi sono solo alcuni dei segnali che l’Occidente non deve ignorare se vuole mantenere (o recuperare, in determinate dimensioni) un certo vantaggio militare rispetto alla Federazione Russa.