Concentrare tantissima ricchezza in un solo individuo, senza che questa generi una ricchezza condivisa, crea delle distorsioni sistemiche che poi si riflettono naturalmente anche a livello collettivo. Infatti, l’obiettivo di un’organizzazione (e si prenda uno Stato come riferimento), è quello di garantire una serie di condizioni di base ai propri cittadini, così da consolidare la stabilità dell’organizzazione e favorire una linea di sviluppo futuro. La riflessione di Stefano Monti
Mentre l’Istat comunica che il potere d’acquisto ha rallentato nell’ultimo trimestre, e mentre cresce una propensione al risparmio da parte degli italiani, occorre tenere in considerazione anche la distribuzione della ricchezza in Italia, che mostra come un piccolo gruppo di persone detenga una quota di ricchezza totale rispetto al resto della popolazione.
Oxfam, ad esempio, ha stimato che nel 2024 la ricchezza media dei miliardari italiani sia cresciuta al ritmo di circa 166 milioni di euro al giorno, il che potrebbe essere una notizia molto importante, se tale crescita fosse estesa all’interno comparto economico domestico.
In un sistema economico come quello che abbiamo costruito, e soprattutto in un sistema economico nel quale le economie di rete giocano un ruolo sempre più rilevante, la concentrazione della ricchezza può essere considerata come una sorta di condizione strutturale, sia sotto il profilo pratico che sotto quello teorico.
Per quanto si tratti di argomenti molto dibattuti, e che hanno profondamente segnato il pensiero economico e politico degli ultimi secoli, possiamo, astenendoci dalla valutazione di merito e riflettendo soltanto sulle condizioni di base, considerare tuttavia che un certo grado di concentrazione di ricchezza sia oggi una condizione quasi strutturalmente determinata.
C’è però un elemento su cui è importante iniziare a riflettere, e vale a dire la differenza che sussiste tra la ricchezza collettiva e quella individuale. Sia in un caso che nell’altro, è necessario comprendere quali siano le condizioni che una concentrazione di ricchezza può favorire.
Secondo una visione piuttosto consolidata, la ricchezza di un individuo, ad esempio, è funzionale ad una serie di attività che vanno a soddisfare una gerarchia di bisogni: fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione. La dimensione che eccede queste grandezze si può dunque trasformare in “risparmio” o in “investimento”.
In altri termini, assicurata una certa dose di denaro affinché la propria persona possa godere di tutti i privilegi di cui è capace, è necessario utilizzare la quota parte restante ai posteri (risparmio intergenerazionale) o a terzi (investimento in economia reale per favorire la crescita sistemica del gruppo di riferimento).
Concentrare tantissima ricchezza in un solo individuo, senza che questa generi una ricchezza condivisa, genera delle distorsioni sistemiche che poi si riflettono naturalmente anche a livello collettivo.
A livello collettivo, infatti, l’obiettivo di un’organizzazione (e si prenda uno Stato come riferimento), è quello di garantire una serie di condizioni di base ai propri cittadini, così da consolidare la stabilità dell’organizzazione e favorire una linea di sviluppo futuro.
Pur non essendo sempre possibile affermare una relazione causale, la letteratura scientifica si mostra spesso concorde nell’identificare una relazione tra la presenza di una ricchezza molto concentrata e un certo grado di instabilità politica.
D’altro canto, i meccanismi sono molto più complessi di così, ed è innegabile che nelle osservazioni del mondo reale, e quindi fuori da ogni modello economico, sia molto difficile isolare in modo puntuale i fattori di causa ed effetto, soprattutto se si tiene conto del tempo.
Sulla base delle condizioni di scenario, quindi, questa tendenza alla concentrazione potrebbe mostrare delle caratteristiche positive e adattive, contraddicendo quanto è stato possibile osservare in passato.
Ed è questo il punto della riflessione. Se sinora si è sempre affrontato il tema adottando una visione specifica (pro o contro la concentrazione), raramente si è prestato attenzione al fatto che la ricchezza, in entrambe le posizioni, viene sempre concepita come un mezzo, non come un fine.
Da tale evidenza, appare dunque necessario che la “ricchezza” è di per sé inutile, se non utilizzata per raggiungere uno scopo. Si tratta di un’osservazione banale, ma che in un’economia in cui la concentrazione di ricchezza diviene sempre più evidente, dovrebbe invece essere approfondita.
Se strutturalmente le nostre economie tendono alla concentrazione di ricchezza, allora è necessario comprendere in che modo tale concentrazione possa essere funzionale ad uno scopo.
E soprattutto, è necessario comprendere, in modo chiaro e piuttosto condiviso, quale sia lo scopo e l’obiettivo che, attraverso la ricchezza, si intende raggiungere.
Senza quell’obiettivo, la ricchezza è inutile all’uomo. Al massimo, l’uomo diventa strumento di una ricchezza che mira soltanto a moltiplicarsi.