Nella Cina di Xi, la stabilità interna e l’autonomia tecnologica sono due facce della stessa strategia: difendere il potere attraverso la produttività. Il Quarto Plenum porterà a un piano quinquennale (2026-2030) che definirà le nuove priorità della Cina tra crescita rallentata, controllo politico e ricerca di autosufficienza tecnologica
Il leader cinese Xi Jinping entra nella settimana del Quarto Plenum con una triplice urgenza: frenare la perdita di slancio economico, consolidare l’autosufficienza tecnologica come risposta strategica alla pressione americana e aumentare il controllo interno sui gangli del potere. Il Quarto Plenum è la quarta sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista cinese, che di norma si svolge a metà del ciclo politico quinquennale (ogni ciclo corrisponde a un mandato del Comitato Centrale, eletto durante il Congresso del Partito e scandito da sette sessioni plenarie -plenum- nel corso dei cinque anni successivi).
All’apertura della riunione più importante del sistema politico di Pechino, il dato: l’economia, dimensione cruciale che ha guidato l’espansionismo globale cinese, è cresciuta del 4,8% nel terzo trimestre, il ritmo più lento da un anno, zavorrata dalla crisi immobiliare e dal calo della domanda interna. Ma la leadership del Partito comunista, riunita per delineare il Quindicesimo Piano quinquennale (2026-2030), guarda oltre la congiuntura: la priorità resta l’investimento in manifattura avanzata e innovazione, colonne portanti del progetto di “rinascita nazionale” di Xi.
Negli ultimi cinque anni, la Cina ha usato la leva industriale per consolidare il primato nei settori verdi — dalle auto elettriche ai pannelli solari — scatenando tensioni commerciali con Stati Uniti e Unione Europea. Il nuovo piano punta a replicare quel modello, spingendo ora sull’intelligenza artificiale, sui materiali innovativi e sulle cosiddette “future industries”, come le interfacce cervello-computer. “Il sostegno determinato alla tecnologia, all’innovazione e alla sicurezza sarà la sostanza del nuovo piano”, osserva Hui Shan, capo economista per la Cina di Goldman Sachs.
La spinta all’autonomia è diventata una necessità strategica. “La ricerca di maggiore autosufficienza scientifica e tecnologica è indispensabile per garantire vantaggi critici”, ha scritto il People’s Daily in un editoriale programmatico. Xi la considera un pilastro di sicurezza nazionale: ridurre la dipendenza dall’Occidente significa costruire una base produttiva autosostenuta, capace di resistere a sanzioni e restrizioni tecnologiche. Per questo la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma ha dedicato quasi metà dei temi di ricerca preparatori al nuovo piano alla voce “investimenti”.
Eppure, dietro la retorica dell’innovazione, di quelle che la narrazione strategica del Partito/Stato chiama “nuove forze produttive di qualità”, riaffiorano fragilità strutturali. La deflazione si è radicata, la disoccupazione giovanile resta elevata e la fiducia delle famiglie è ai minimi. La domanda interna, tradizionalmente punto debole dell’economia cinese, continua a pesare: i consumi rappresentano circa il 40% del Pil – per confronto negli Stati Uniti sono il 68%. Alcuni economisti suggeriscono che Pechino possa introdurre un obiettivo numerico per la quota dei consumi sul Pil, segnale politico più che macroeconomico di un tentativo di riequilibrio.
Finora i tentativi di stimolo — sussidi alle famiglie, incentivi per la natalità, prestiti al consumo — hanno prodotto effetti limitati. Le vendite al dettaglio sono cresciute solo del 3% a settembre, mentre i prezzi al consumo sono scesi dello 0,3%. Il settore immobiliare, un tempo motore di crescita, continua la caduta: gli investimenti sono diminuiti del 13,9% nei primi nove mesi dell’anno e i prezzi delle nuove abitazioni in 70 città sono calati dello 0,41% a settembre, la flessione più ampia in quasi un anno.
A trainare la produzione resta l’export, nonostante la guerra commerciale con Washington – che la scorsa settimana ha raggiunto un nuovo culmine, anche se sono in corso svariati contatti diplomatici che potrebbero edulcorare la risposta di Donald Trump alla decisione cinese sulle terre rare, prima del faccia a faccia con Xi previsto a latere dell’Apec, il mese prossimo. Intanto, le esportazioni cinesi totali sono cresciute dell’8,3% su base annua, grazie al mercato del Sud-est asiatico, mentre quelle verso gli Stati Uniti sono crollate. Il dato conferma la dipendenza di Pechino dalla domanda esterna, proprio mentre la strategia ufficiale invoca un “nuovo modello di sviluppo” centrato sul mercato domestico.
Il rallentamento della crescita si intreccia con un’altra dimensione: quella politica. Alla vigilia del plenum, Xi Jinping ha ordinato la destituzione di He Weidong, numero due dell’Esercito Popolare di Liberazione e membro del Politburo, insieme ad altri otto alti ufficiali. È la più ampia purga militare degli ultimi decenni. Ufficialmente, le accuse riguardano “gravi crimini legati all’esercizio delle funzioni e somme di denaro particolarmente ingenti”. Ma la portata dell’operazione suggerisce un intento più profondo: riaffermare il controllo politico e disciplinare dell’esercito in una fase di vulnerabilità economica e di crescente incertezza internazionale. Lyle Morris, analista dell’Asia Society Policy Institute, ha definito la rimozione di He “uno dei più grandi sconvolgimenti all’interno dell’Esercito Popolare di Liberazione in decenni”. La campagna anticorruzione nelle forze armate, intensificata dopo l’invasione russa dell’Ucraina, riflette anche la preoccupazione di Xi per l’efficienza operativa dell’apparato militare e per la lealtà dei vertici.
La contraddizione è evidente: per alimentare la crescita, la Cina continua a fare leva sull’industria e sugli investimenti pubblici, rinviando il riequilibrio verso i consumi che pure considera indispensabile. Ma la priorità politica è altrove. Secondo Neil Thomas, tra i più attenti sinologhi in questo momento, “le percezioni di Pechino sull’ambiente esterno si sono oscurate, e Xi vede nell’investimento tecnologico il modo migliore per accrescere la produttività e sostenere la sua agenda di rinascita nazionale in un contesto di declino demografico e isolamento tecnologico dal mondo occidentale”.
Il nuovo piano quinquennale, che sarà discusso in questi giorni e formalizzato a marzo prossimo, servirà quindi più a consolidare il controllo politico che a rilanciare la domanda. È lo strumento con cui Xi definisce le priorità dello Stato e del Partito: un programma economico ma anche ideologico. Non a caso, la purga di alti ufficiali e quadri di partito che ha preceduto il plenum sottolinea il legame fra disciplina politica e direzione economica. Nella Cina di Xi, la stabilità interna e l’autonomia tecnologica sono due facce della stessa strategia: difendere il potere attraverso la produttività.