L’11 ottobre 1985 usciva “After Hours” (“Fuori Orario”) il capolavoro di Martin Scorsese, con un eccellente Griffin Dunne. Un thriller, tra strano quotidiano e coincidenze, con un sotto-testo filosofico: la tua innocenza è legata al caso. Il punto dello storico del cinema Eusebio Ciccotti
Caro lettore, sì, parlo di te. Sono le cinque del pomeriggio. Esci dal tuo ufficio. Vai a prendere un caffè in un bar. Sei seduto ad un tavolo. Hai con te un libro. Lo stai leggendo con interesse. Può essere il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati o Il viaggio in fondo alla notte di Louis-Ferdiannd Céline o Tropico del cancro di Henry Miller. Una ragazza bionda ti nota. Tu, giovane uomo, non l’hai neppure vista. Stai dentro un mondo quasi vero, parallelo, quello della letteratura. In questo caso il libro è quello di Miller. E tu sei Paul Hackett (Griffin Dunne), programmatore di computer in una ditta di informatica come tante esplose agli inizi degli Ottanta (a New York). Ella, la bella, interrompe la tua lettura, si presenta, si chiama Marcy (Rosanna Arquette): ti confessa che quell’opera di Miller è il suo libro preferito. Replichi che lo è anche per te, e aggiungi “lo sto rileggendo”. Siete timidamente dentro uno scambio di conversazione. Marcy intanto si è seduta al tuo tavolo. Vi guardate negli occhi, con un certo interesse.
Ad un tratto deve andar via, ha un impegno, ma ti lascia il suo numero di telefono, se vuoi, puoi passare da lei questa sera. Torni a casa, si solo, sei un single, siedi sul divano, color avana, scolorito. Ti alzi, leggermente nervoso. La curiosità di sta stuzzicando. Decidi di chiamarla: ti dice di raggiungerla, a Soho. È un un quartiere poco rassicurante di New York, ma ci vai.
Il tassista guida come un forsennato, da ritiro patente, rischiando incidenti ad ogni sorpasso, e sei letteralmente sbattuto da una portiera all’altra del taxi, come una pallina da ping-pong. Sembra tu sia finito in un film surrealista-commerciale di ladri e inseguimenti. Ora, sei salito sino all’ultimo piano di una palazzina popolare anni Trenta, senza ascensore. Eccoti in un interno, che è uno studio di una artista post-concettuale; è una amica di colei che ti ha invitato. Ella mentre continua ad incartare un manichino in posizione di danza o torsione, ti informa che Marcy, è dovuta andare via, ma tornerà. Orami sei in After Hours (1985) di Martin Scorsese.
Una serie di svolte legate al caso (nuova filosofia del cinema mostrata quattro anni prima dal polacco Krzysztof Kieślowski, con Przypadek– Destino cieco-, e lo sceneggiatore Joseph Minion deve averne tenuto conto) porterà il povero informatico davanti all’improvvisa morte di Marcy, la donna di cui Paul è stato attratto, ma che scoprirà essere la donna del barman del bar presso cui ha trovato rifugio.
Sì, perché durante la notte sono accaduti una serie di ‘casuali’ fatti. Paul, verso le tre del mattino, è ormai inseguito da inquilini del quartiere che lo hanno scambiato per un ladro di appartamenti. Un’autentica folla inferocita (citazione da Linciaggio, 1950, Joseph Losey), guidata da una venditrice ambulante di gelati, inizialmente interessata, anche ella, dall’involontario fascino di Paul.
In realtà Paul, dopo la morte di Marcy per infarto, ha chiamato la polizia: ma raccontando come tutto fosse successo assurdamente e per caso non viene creduto. Allora, decide di uscire da questo incubo notturno ad occhi aperti, ma non riesce a tornare a casa, per scherzi di un ‘cieco’ destino. Ogni volta il suo tentavo rimane strozzato da impedimenti del caso: gli ultimi centesimi che ha in tasca non bastano per acquistare il biglietto della metro che proprio dopo mezzanotte è aumentato: il bigliettaio non intende aiutarlo. Il barman, che non sa ancora di aver perso Marcy, vuole aiutarlo dandogli il necessario per il taxi, ma la il cassetto della cassa da dove prendere le monete, nonostante i pugni e i calci del barman, si è bloccato…
Il racconto di After Hours, thriller costellato di camei ironici (si veda il finale), dopo quarant’anni ti inchioda alla poltrona come ti incanta la struttura aperta di Rashomon (1950, Akira Kurosawa): uno dei qui film da usare nei corsi di sceneggiatura e regia. E infatti Scorsese serve questo racconto gotico in una New York costantemente notturna ed espressionista (un dittico con Taxi Driver), con i suoi tagli improvvisi, gli anacoluti della macchina da presa: autentiche innovazioni stilistiche seguiti poi da diversi “allievi” (per esempio alcune soluzioni sono rintracciabili in Abel Ferrara e Terrence Malick).
Fuori orario (titolo che poi sarà dedicato a un noto programma televisivo di cinema d’autore a cura di Enrico Ghezzi), è un racconto letterario e filmico che racchiude le innovazioni narrative del Novecento. Arricchendo la geometria dei punti di vista, iniziata da La metamorfosi (1911) di Franz Kafka, continuata con i racconti di Michail Bulgakov e, nel cinema, da Entr’acte (1924) di René Clair, passando per il cinema di Orson Welles, Akira Kurosawa, Krzysztof Kieślowski. Un film, come un buon romanzo, da rivedere.