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Molto più di una grande opera. La lezione della Torino-Lione secondo Bufalini (Telt)

La ferrovia ad Alta Velocità Torino-Lione non è solo un’opera gigantesca in termini di investimenti e tecnologia. Rappresenta, anche, l’inizio di una nuova era di concepire le grandi infrastrutture, i cui metri di misura sono l’ascolto, la sostenibilità e normative che parlano tra loro. Intervista a Maurizio Bufalini, direttore generale di Telt

Una grande opera e non solo per le dimensioni e la portata degli investimenti. All’inizio e alla fine di un tunnel ferroviario di 57 chilometri, nel ventre del Moncenisio, c’è crescita, sviluppo, progresso. E persino un buon pezzo di mercato unico europeo. Telt, la società pubblica metà Stato francese, metà Stato italiano (attraverso Ferrovie), sta realizzando la sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione. Circa 275 chilometri (di cui 50 su suolo italiano, 65 transfrontalieri e 160 su terra francese) di tecnologia e ingegneria di avanguardia.

Lo scorso febbraio Telt ha compiuto dieci anni di vita e il prossimo 27 ottobre organizzerà presso Palazzo Farnese, sede dell’Ambasciata francese, un grande Forum in cui, oltre a fare il punto della situazione, l’azienda incontrerà professionisti, esponenti del mondo delle istituzioni, manager ed esperti del settore dei trasporti, per raccontare un nuovo modello per fare infrastrutture, a partire da una governance all’altezza e dall’equilibrio tra sostenibilità ed efficienza finanziaria. Formiche.net ha incontrato a pochi giorni dall’appuntamento romano, il direttore generale di Telt, Maurizio Bufalini, ingegnere civile e ambientale, dalla solida esperienza internazionale e che alla costituzione di Telt nel 2015, è stato nominato prima direttore generale aggiunto per l’Italia e, nel 2023, direttore generale.

Bufalini, partiamo dallo stato dell’arte. A che punto siamo con la Torino-Lione?

Partiamo da un dato: siamo oltre il 27% deli scavi completati. L’opera, quindi, è in pieno svolgimento: la tabella di marcia negli ultimi 24 mesi si è portata un bel pezzo avanti. Le fasi complesse della progettazione, delle autorizzazioni e l’affidamento delle gare d’appalto sono state tutte superate. Ora siamo alla fase della costruzione. Parliamo di un’opera a suo modo unica, con il tunnel ferroviario, 57,5 chilometri per due gallerie, più lungo e profondo al mondo. La prima fresa (dopo le due nella fase geognostica – ndr.), ha cominciato a scavare e progressivamente entreranno in funzione le altre sei. Si parla quindi un cambio di marcia: queste macchine permettono di raggiungere una media di 15-16 metri al giorno di scavo, quattro volte quello che si ha con i metodi cosiddetti convenzionali.

Da un punto di vista ingegneristico e tecnologico, quindi la Torino-Lione è all’avanguardia. Quali sono i punti di forza dell’opera?

Tanto per cominciare opere di questa taglia segnano il proprio secolo, dal grande impatto economico e sociale e con un’incidenza diretta sui rapporti internazionali. Parliamo di cantieri che imprimono, nel tempo, modi nuovi di progettare e costruire: incontrare e affrontare difficoltà enormi, spesso inedite, lascia in eredità nuovi know-how. Per noi, un esempio è la gestione dei materiali estratti, dei quali recuperiamo oltre il 50% riutilizzandoli nell’opera stessa. Si tratta di un primato. Analogamente facciamo con le acque in galleria. Ma il vero chiodo fisso riguarda la sicurezza degli operai: gli sforzi di Telt e delle imprese intorno a questo sono enormi. Lavorare in galleria è durissimo, chi sceglie di farlo deve potersi sentire al sicuro. A tenere insieme questi aspetti è la bi-nazionalità. Mi spiego, l’opera si avvale di norme che si parlano, si legano, nonostante due sistemi giuridici, quello italiano e quello francese, diversi. Abbiamo fatto, grazie in particolare alla Cig (Commissione Intergovernativa, ndr) un percorso per cui ora la Torino-Lione è considerata un “cantiere unico”: la Francia ha adottato parte della legislazione antimafia italiana con le prefetture di Lione e Torino che operano in sinergia nei controlli. Anche in questo senso credo che le infrastrutture come la Torino-Lione possano essere un grande terreno di diplomazia.

La storia insegna che senza grandi opere non c’è innovazione, benessere e dunque crescita economica. Non crede che l’Europa non abbia sempre compreso fino in fondo questo concetto?

L’Europa è un sistema molto complesso, antico, con Stati sovrani. Tuttavia, il percorso di unificazione ha messo al centro la rete infrastrutturale comune. Pensiamo proprio ai treni, oggi in Europa ci sono standard che consentono ai convogli di passare da uno Stato all’altro senza alcun impedimento, grazie a standard comuni che garantiscono ai treni di viaggiare letteralmente senza confini, almeno tecnologici. Una volta, alla frontiera, un convoglio doveva addirittura cambiare la motrice e relativo equipaggio perché ogni Paese aveva i suoi binari e i suoi standard. La direzione verso la quale stiamo andando è quella di una gigantesca metropolitana europea e per fare questo attraversando le Alpi, i tunnel come quello della Torino-Lione, il Brennero o il Gottardo sono essenziali. Passare alla base delle montagne significa quindi aumentare la capacità di carico e ridurre il dispendio di energia per la trazione. Maggiore efficienza in ambito ferroviario vuol dire incentivare il trasferimento modale, ovvero il passaggio dalla gomma al ferro con una riduzione delle CO2 per i decenni a venire.

Appare difficile immaginare un vero mercato unico europeo senza un altrettanto sistema di trasporti comunitario e comune, che metta in contatto i Paesi membri. Crede che la Torino-Lione sia in tal senso un modello per creare una rete ferroviaria europea?

Non solo credo che sia un modello, ma penso sia il migliore in circolazione. Ci sono quattro grandi progetti di portata continentale attualmente, dal Canale della Senna Nord, fino alla Rail Baltica, progetto che mira a collegare con una linea ferroviaria a scartamento europeo standard, sostituendo quello russo, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia. completano il quadro il tunnel del Brennero e infine noi. La Torino-Lione è l’unico progetto a interpretare questa natura europea anche nella governance perché ha una società, Telt, che è perfettamente binazionale, partecipata al 50% da Italia e al 50% dalla Francia. L’impegno dell’Europa non è mai mancato, sta facendo molto, anche in termini di investimenti, questo bisogna dirlo, per la creazione di un mercato unico che poggi proprio su un sistema di trasporti inter-connesso. E i finanziamenti europei non sono mai venuti meno in questi anni, sono essenziali per gli Stati che scommettono in opere di una simile portata.

A proposito della levatura internazionale della Torino-Lione, l’infrastruttura non è certo immune dalle tensioni commerciali che interessano l’economia europea in questi mesi. Mi riferisco all’aumento dei costi per le materie prime e dell’energia. Quale, se c’è stato, l’impatto sul cantiere per la realizzazione della tratta?

La situazione socio-economica e socio-politica ha certamente impattato, anche se noi lavoriamo essenzialmente con il ferro e l’acciaio più che con i minerali critici. La pandemia ha rallentato i lavori per alcuni mesi, ma oggi per quanto riguarda la fluttuazione dei costi, siamo molto ben attrezzati. Possiamo, infatti, contare su un meccanismo francese che consente di adeguare con cadenza mensile i prezzi dei materiali al mercato. Questo, al netto dell’adeguamento del costo dell’opera nel 2023, ci permette durante la costruzione di sterilizzare eventuali effetti negativi in termini di costi. C’è poi il capitolo frese. Oggi i principali produttori mondiali sono un’azienda tedesca ed una cinese. Con le nostre imprese abbiamo deciso di utilizzare solo frese made in Europe, proprio per prevenire eventuali costi aggiuntivi legati alla manutenzione.

Dalle comunità locali alla scala continentale, che ruolo dovrebbero avere leggi, catene decisionali e sistemi di controllo nella governance di nuove infrastrutture di simile portata?

Le grandi opere hanno per loro natura delle peculiarità di tempi e costi diverse dalle loro sorelle convenzionali: la loro progettazione e costruzione si svolgono in un arco di tempo piuttosto lungo. Per questo soffrono particolarmente i cambi di regole in corsa: l’adeguamento continuo a nuove norme determina tempi più lunghi e progressivi aumenti nella spesa. Ma se mi chiede cosa potrebbe migliorare, le dico questo: sarebbe necessario un sistema di norme chiare per l’intero periodo di realizzazione dell’opera e capaci di adattarsi, di andare anche oltre la normativa nazionale che spesso può essere non perfettamente adeguata alla sfida, creando scompensi e difficoltà. Lo stesso vale sul fronte delle regole dei finanziamenti europei: come dicevo l’Europa ha sempre finanziato l’opera, ma il contributo si basa sulla partecipazione a bandi pluriennali di cui spesso nei diversi cicli cambiano i parametri. Per la singola opera che completa il suo fabbisogno in un bando di finanziamento questo non è un problema: ma per le grandi infrastrutture, che attraversano più cicli, sarebbe utile e importante avere la certezza globale del finanziamento. Insomma, sia sul versante delle regole, sia su quello dei finanziamenti serve visione a lungo termine e capacità di adeguamento a tutti gli shock che, inevitabilmente, possono sopraggiungere.

In Europa lo sviluppo sostenibile è ormai un obiettivo integrato in tutti i modelli di progettazione, costruzione e gestione delle infrastrutture. Ma come queste ultime possono essere il terreno dove i principi etici per la creazione di valore si integrano con l’efficienza ingegneristica e finanziaria?

Su questo aspetto Telt ha fatto una scelta di campo, la sostenibilità è sempre stata al centro: l’opera deve essere sostenibile già dalla fase di costruzione, in termini ambientali, sociali ed economici. Ovviamente questa cura ha dei costi, ma che vanno interpretati come investimenti, non come oneri. Lo stesso vale parlando di innovazione. La Torino-Lione, per il momento, impiega solo denaro pubblico; quindi, tutti gli sviluppi innovativi a cui lavoriamo con i nostri partner hanno l’obiettivo di gestire quei problemi che gli standard attuali non sono in grado di risolvere. Senza dimenticare il fattore umano, la relazione con il territorio. Siamo l’unico caso in Europa di opera su cui si sono svolte (e continuano a svolgersi) centinaia di riunioni, di incontri con le persone, per spiegare, illustrare, raccogliere problematiche e istanze dai territori e tutto tramite un apposito e dedicato Osservatorio. Nell’ultimo anno abbiamo fatto incontri con la popolazione e istituito degli sportelli nei Comuni proprio perché stiamo entrando nel vivo della costruzione e ci mettiamo a disposizione delle persone per spiegare, rispondere a dubbi, risolvere problemi puntuali. Per questo vorremmo che la Torino-Lione fosse il lascito di una nuova cultura delle grandi opere, fatta di trasparenza, racconto, coesione. Insomma, gettare le basi per una generazione di opere meno espressioni tecnocratiche e più figlie di un’idea di futuro condiviso.


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