Per fiaccare Mosca, laddove non arrivano le sanzioni, c’è solo un modo: interrompere le forniture di oro nero verso quei mercati che fino ad oggi ne hanno comprato dal Paese. Per questo Trump ha chiesto a Giappone e India di fare a meno dei barili del Cremlino
Gli storici militari la chiamerebbero la classica tattica della terra bruciata. E in effetti, pare proprio così, una sorta di maxi sanzione travestita da diplomazia: spingere i Paesi che fino a oggi comprano petrolio alla Russia, a non farlo più. Come raccontato da questo giornale, l’oro nero è diventato un problema a Mosca. A Ovest, il grosso delle raffinerie russe sono finite fuori uso per mano dei chirurgici bombardamenti dell’artiglieria ucraina, senza considerare che l’intero fianco occidentale è sotto embargo da tre anni, con il risultato che l’Europa non compra più un barile dall’ex Urss. A est, invece, la Cina ha cominciato a chiedere sostanziosi sconti in fattura alle forniture di petrolio russe.
Morale? Le entrate da idrocarburi russe sono crollate nel giro di pochi mesi, nonostante il timido rialzo delle quotazioni al barile, facendo perdere al Cremlino la certezza che la guerra contro l’Ucraina possa essere finanziata solo ed esclusivamente con gas e petrolio. Adesso però sono entrati in gioco gli americani e la loro raffinata quanto incisiva arte della dissuasione. Con l’obiettivo, dichiarato, di far tremare la terra sotto i piedi di Vladimir Putin. Washington, per esempio, desidera che il Giappone cessi le importazioni di prodotti energetici russi. Lo ha dichiarato il segretario al Tesoro americano Scott Bessent, poco dopo l’annuncio di Donald Trump secondo cui l’India avrebbe interrotto gli acquisti di petrolio da Mosca. “Non ero contento che l’India acquistasse petrolio, ma Modi mi ha assicurato che non acquisteranno petrolio dalla Russia. È un grande passo avanti. Ora faremo in modo che anche la Cina faccia lo stesso”.
Bessent, tanto per fare un po’ di chiarezza, ha dichiarato in un messaggio su X di aver incontrato il ministro delle Finanze giapponese Katsunobu Kato, in visita a Washington, e di avergli comunicato l’aspettativa del governo americano che il Sol Levante cessi di importare energia dalla Russia. Decisione non a cuor leggere per Tokyo, dal momento che, nonostante la presenza del nucleare, il Giappone è storicamente povero di risorse naturali, spiegando così la dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas. Più definita, ma ancora un po’ fumosa, la posizione dell’India, che, dopo le dichiarazioni di Trump, ha ribadito che la priorità della sua politica energetica “è quella di difendere gli interessi dei consumatori indiani”.
Chi ha reagito in modo rabbioso è invece, semmai, proprio la Russia. Putin ha dichiarato durante un forum sull’energia a Mosca che la Russia resta uno dei principali produttori di petrolio al mondo, nonostante le sanzioni occidentali e le pressioni esercitate dal presidente statunitense Trump sulla Federazione. Tutto vero, se non fosse che non conta tanto produrre, quanto vendere. E non è detto che la Russia ci riesca.
“La Russia conserva la sua posizione tra i principali produttori di petrolio, nonostante i meccanismi di concorrenza sleale utilizzati contro di noi”, ha affermato Putin, precisando che il Paese garantisce circa il 10% della produzione globale e accusando l’Occidente di concorrenza sleale ai suoi danni. Putin ha inoltre sottolineato che anche le esportazioni di gas, di cui la Russia è tra i primi produttori mondiali, “continuano a essere assicurate in modo affidabile, nonostante le restrizioni imposte dai Paesi dell’Unione europea, un tempo principali clienti di Mosca”. Adesso non resta che vedere se le parole di Trump avranno il loro effetto su Giappone e India.