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Wang Yi a Roma è stato un test (di pragmatismo) per l’Italia. Il bilancio della visita

La visita di Wang Yi in Italia segna il tentativo di Pechino di rilanciare il dialogo con Roma dopo l’uscita dalla Belt and Road Initiative. L’Italia risponde con pragmatismo e consapevolezza strategica: cooperazione sì, ma entro i limiti della sicurezza nazionale e dell’allineamento euro-atlantico

La visita del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in Italia si è chiusa nel segno del pragmatismo. Il capo della diplomazia di Pechino — ricevuto al Quirinale da Sergio Mattarella e a Villa Madama da Antonio Tajani — ha voluto dare continuità al dialogo bilaterale dopo l’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative, in un momento in cui Pechino cerca di non perdere contatto con l’Europa. È il quarto viaggio europeo del ministro dall’inizio dell’anno, un segnale chiaro della volontà cinese di restare dentro al gioco, nonostante il de-risking promosso da Bruxelles e Washington.

A Roma, Wang Yi ha presieduto con Tajani la XII edizione del Comitato Governativo Italia-Cina, incaricato di attuare il Piano d’Azione 2024-2027 firmato lo scorso anno da Giorgia Meloni e Li Qiang. L’agenda — commercio, tecnologia, istruzione, cultura, sostenibilità — ha messo in luce la complessità di una relazione che prova a restare costruttiva pur dentro limiti più netti. I numeri dicono molto: nei primi otto mesi del 2025 l’interscambio ha toccato 49,8 miliardi di euro (+16%), ma con un saldo fortemente sbilanciato a favore della Cina.

Roma chiede riequilibrio e trasparenza. Pechino risponde con aperture industriali — dal Jiangsu a Shanghai, fino ai parchi creati con aziende italiane — e con un rinnovato soft power culturale, tra progetti di traduzione, design e cinema. Ma il contesto è cambiato. L’Italia, uscita simbolicamente dalla Via della Seta, si muove oggi dentro una cornice di “consapevolezza strategica”: cooperazione sì, ma entro confini chiari di sicurezza tecnologica e sovranità industriale.

Il decreto “Buy Transatlantic” e l’esclusione dei componenti cinesi dagli incentivi alle rinnovabili raccontano una traiettoria precisa: difendere le infrastrutture critiche, allineare la filiera italiana e quella europea, e consolidare la coerenza del pilastro euro-atlantico. È il tentativo di conciliare apertura e prudenza in un equilibrio sempre più delicato.

Come ha scritto su Formiche.net Enrico Fardella, “la vera prova arriverà nei mesi successivi, quando dalle parole si passerà ai fatti”. Se Pirelli resterà un caso di “sovranità gestita”, se Roma saprà attrarre Byd e Haier come partner industriali credibili, e se il dialogo con la Francia potrà ampliare lo spazio d’azione italiano in Europa, si capirà se il de-risking potrà diventare un vantaggio competitivo o un’altra occasione mancata.

Intanto, a Palazzo Madama, un convegno organizzato dal senatore Giulio Terzi con Doublethink Lab di Taiwan ha discusso proprio delle “influenze cinesi” in Europa. Il China Index 2024 mostra un calo dell’impatto di Pechino in Italia, ma non la fine del problema: i legami persistono in università, ricerca e media. E cresce la consapevolezza europea davanti a interferenze e pressioni politiche.

La missione di Wang Yi lascia dunque un messaggio duplice: la Cina resta un interlocutore globale imprescindibile, ma l’Italia non è più disposta a negoziare la propria autonomia strategica. È in questo spazio di mezzo — tra apertura e cautela — che si gioca il futuro del rapporto Roma-Pechino.

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