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Wang Yi in Italia. Roma e il nuovo bilanciamento con Pechino

Il ministro cinese Wang Yi a Roma per rilanciare il dialogo con l’Italia. L’obiettivo: mantenere aperti i canali con Pechino ma rafforzare sicurezza, autonomia industriale e allineamento al derisking euro-atlantico, come dimostrano il “Buy Transatlantic” e le limitazioni sull’uso di pannelli solari cinesi

L’agenda delle relazioni Italia-Cina si arricchisce questa settimana. In visita a Roma e Svizzera (dal 7-12 ottobre), il ministro degli Esteri cinese, il capo della diplomazia del Partito Comunista Wang Yi, incontrerà mercoledì 8 ottobre, a Villa Madama, l’omologo Antonio Tajani, con cui co-presiederà la XII riunione del Comitato Intergovernativo Italia-Cina. Successivamente sarà ricevuto al Quirinale per un faccia a faccia con il Presidente Sergio Mattarella. Un anno fa, con la missione del capo dello Stato e della presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Pechino, i due Paesi hanno firmato un piano d’azione triennale e diversi memorandum di cooperazione che hanno ravvivato, in due diversi momenti, i venti anni del partenariato strategico.

La linea è coerente con l’obiettivo delle riunioni di questa settimana di cui parlano fonti italiane: rafforzare il dialogo in settori strategici — economia, innovazione, infrastrutture, cultura — riconoscendo il valore politico di Pechino, in un momento in cui Roma punta a mantenere canali aperti con la Cina pur allineandosi sempre più alla linea di de-risking europea e statunitense.

Roma tra dialogo e prudenza

Negli ultimi mesi il governo italiano ha moltiplicato i segnali di equilibrio: da un lato, la disponibilità a cooperare con Pechino sulla sfera economia; dall’altro, la scelta di rafforzare i presidi di sicurezza economica e tecnologica. Pur avendo sostenuto le più severe decisioni della Commissione Ue (come i dazi sui veicoli elettrici cinesi), Roma continua a presentarsi da interlocutore pragmatico, concentrato su convergenze selettive piuttosto che su scontri frontali.

Questo approccio riflette la visione della premier Meloni: mantenere una postura aperta ma vigilante, evitando che la cooperazione economica scavalchi i vincoli di sicurezza, interoperabilità e sovranità industriale o ancora peggio politica.

Il nuovo paradigma del “Buy Transatlantic”

Un tassello chiave di questa strategia è il recente decreto che introduce il cosiddetto“Buy Transatlantic” per gli appalti pubblici legati all’ICT e alla cybersicurezza nelle infrastrutture critiche. Le offerte che utilizzano tecnologie prodotte in Italia, nell’Unione Europea, nei Paesi Nato o in partner like-minded — come Giappone, Israele, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda e Svizzera — riceveranno punteggi preferenziali rispetto a quelle cinesi.

Il provvedimento risponde a episodi di vulnerabilità derivati dall’uso di tecnologia Made in Prc in apparati pubblici e segna la volontà di Roma di collocarsi tra la strategia americana “Buy American” e quella europea “Buy European”. In prospettiva, il modello “Buy Transatlantic” potrebbe diventare un riferimento anche per la difesa, rafforzando la coerenza industriale del pilastro euro-atlantico — anche nell’ottica delle raccomandazioni della Nato sul nesso tra economia e difesa.

Energia e sicurezza nazionale

La seconda misura che ridisegna il rapporto con Pechino è il decreto che ha escluso i pannelli solari e i componenti di origine cinese dai nuovi incentivi per le rinnovabili. L’Italia è stato il primo Paese Ue ad adottare un criterio di questo tipo, collegando direttamente la sicurezza energetica alla resilienza geopolitica.

La decisione, coerente con il Clean Industrial Act europeo, intende ridurre la dipendenza da Pechino in un settore dove la Cina controlla circa l’80% della produzione mondiale di moduli fotovoltaici. Come osservava su Formiche.net l’economista Carlo Pelanda, si tratta di “una mossa geoeconomica coraggiosa” che consolida il legame con Washington e rafforza l’autonomia strategica dell’Italia in ambito industriale.

Un equilibrio in evoluzione

La visita di Wang Yi arriva dunque in un momento di ridefinizione strutturale del rapporto tra Roma e Pechino: l’Italia non chiude il dialogo, ma ne ridefinisce i confini. La cooperazione economica resta aperta, ma si muove dentro un quadro di sicurezza, interoperabilità occidentale e tutela della sovranità tecnologica. In questo equilibrio tra apertura e cautela si gioca la nuova postura italiana verso la Cina — un laboratorio di diplomazia economica che riflette le sfide di un ordine globale sempre più frammentato.

L’asse con i vari approcci di de-risking di Ue e amministrazione Trump è evidente, con una parola chiave: consapevolezza, rispetto al quadro generale delle relazioni — la Casa Bianca compete in modo serrato con la Cina, ma cerca anche un accordo per esempio — e della necessità di mantenere vivo un dialogo globale anche con un attore come la Cina,  “partner, competitor economico e rival sistemico” (secondo definizione dell’Ue).


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