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Al Sharaa, ecco come Trump continua a riscrivere il Medio Oriente

La trasformazione della Siria di Ahmad al-Sharaa, da roccaforte del jihadismo a partner degli Stati Uniti, rappresenta un cambio di paradigma senza precedenti, che l’amministrazione Trump cavalca con interesse strategico

Ahmad al-Sharaa entra oggi nello Studio Ovale come nessun siriano aveva mai fatto. Non solo perché è il primo capo di Stato di Damasco a varcare la soglia della Casa Bianca, ma perché la sua presenza segna la fine di un’epoca: quella dei decenni di isolamento e conflitto che avevano relegato la Siria ai margini dell’ordine internazionale. A meno di un anno dalla caduta di Bashar al-Assad, l’ex leader del movimento islamista Hayat Tahrir al-Sham, e prima ancora comandante di al Qaeda, si presenta a Washington come partner politico degli Stati Uniti, simbolo di una riconversione geopolitica che sta ridisegnando gli equilibri regionali.

Il percorso che ha portato Sharaa fin qui è paradossale e strategicamente rivoluzionario. Il movimento che lo sostiene, un tempo parte dell’insurrezione jihadista, ha demolito le ultime vestigia del regime di Assad e, con esse, l’influenza combinata di Russia e Iran. Le forze che per oltre un decennio avevano sostenuto Damasco si trovano ora marginalizzate, mentre il nuovo governo siriano cerca una piena integrazione con l’Occidente. Dopo un primo incontro a Riyadh, a maggio, Trump ha avviato la rimozione progressiva delle sanzioni americane in vigore dal 1979, segnando la fine dell’isolamento economico siriano.

La Casa Bianca vede nella svolta di Damasco un’opportunità. L’obiettivo è duplice: consolidare la riduzione dell’influenza russa e iraniana e creare le basi di una stabilità duratura senza interventi militari diretti. In questo quadro, Ankara, che ha svolto un ruolo chiave nella caduta di Assad, è da considerare un attore complementare nella ricostruzione del Paese. Washington e Turchia condividono l’interesse a impedire il ritorno di Teheran nel Levante, con gli americani che comunicano ai turchi che è possibile un equilibrio se si allineano gli interessi.

L’agenda del vertice tra Trump e Sharaa è centrata su difesa e sicurezza. Damasco firmerà l’adesione formale alla coalizione internazionale contro l’Isis, un altro passo verso un graduale trasferimento della missione antiterrorismo alle forze regionali. La mossa permetterebbe agli Stati Uniti di ridurre la presenza militare. Sul ruolo siriano nella Coalizione c’è una doppia sfida. Per primo la riorganizzazione di un esercito frammentato, ancora composto da milizie poco disciplinate e segnato da contraddizioni interne. Poi c’e l’integrazione delle forze curde delle Syrian Democratic Forces, che chiedono autonomia nel nuovo assetto politico —  un nodo che può rallentare la transizione.

La prospettiva più ambiziosa di Washington va oltre la sicurezza in senso stretto. Trump punta a includere la Siria nel sistema regionale disegnato dagli Accordi di Abramo, una rete di cooperazione che unisce Israele e i Paesi arabi moderati. Un’intesa di sicurezza tra Israele e Siria — volta a porre fine ai raid israeliani e a creare una zona cuscinetto nel sud del Paese — sarebbe il primo passo verso la normalizzazione. Da notare che qui Damasco non pone condizioni connesse alla questione palestinese — come altri attori regionali — ma mette sul tavolo la questione del Golan, l’area contesa al confine israeliano. Tutto comunque potrebbe entrare in una fase negoziale, con Damasco pronta a un approccio più flessibile rispetto all’era Assad.

La scelta di Sharaa di ospitare una base americana vicino alla capitale suggellerebbe inoltre il definitivo riallineamento. Secondo fonti militari apparse sui media internazionali, l’avamposto servirà a monitorare il futuro accordo con Israele e a coordinare operazioni umanitarie. È un gesto simbolico e politico insieme: una Siria post-islamista che abbandona la retorica anti-occidentale per una partnership strategica con Washington — che significa anche accettare la coabitazione con lo Stato ebraico.

Ciò che resta da discutere è la rimozione definitiva delle sanzioni e il rilancio economico, considerati condizioni necessarie quanto conseguenti alle altre scelte. La Casa Bianca ha già revocato la designazione di Sharaa e del suo ministro dell’Interno (altro leader jihadista) come leader terroristici, mentre il Congresso valuta l’abrogazione del Caesar Act. Regno Unito e Unione Europea si muovono in modo simile. È questa la cornice di una nuova narrativa: la Siria che fu teatro di guerra diventa, agli occhi dell’amministrazione Trump, un potenziale pilastro del nuovo ordine mediorientale.


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