Pechino lavora sotto traccia alla creazione di un nuovo spazio commerciale con baricentro africano, cucito su misura sulla vendita di minerali critici. Con l’obiettivo di sfidare Europa e Stati Uniti. Ancora una volta
Filo dopo filo, la Cina tesse la sua trama. Una trama destinata a creare più di un problema all’Occidente. D’altronde, è sempre così quando si parla di terre rare. Ai tempi della grande anemia della seconda economia globale, il Dragone lavora ancora una volta alla creazione di un’entità alternativa e antagonista a quella occidentale. Solo che stavolta di mezzo ci sono i minerali critici, senza i quali i tre quarti dell’industria, dalla Difesa fino alla tecnologia, passando per l’auto, si ferma. Certo, Stati Uniti, Dragone e anche Europa hanno sottoscritto nelle scorse settimane una tregua dal retrogusto della distensione, garantendosi quelle forniture di minerali così essenziali. E gli Usa stanno a loro volta accelerando verso l’autonomia strategica, siglando accordi con tutti quei Paesi ricchi di terre rare ma fuori dall’orbita cinese.
Più complessa la situazione dell’Europa, che di minerali critici non ne ha in grandi quantità (solo la Germania ne stocca un po’). Nel frattempo, a Pechino si lavora a un blocco Brics ma cucito su misura sulle terre rare. Architetto, il premier cinese Li Qiang, che in occasione del G20 in Sud Africa ha chiesto un’alleanza internazionale per lo sviluppo delle terre rare. Pechino, nella sostanza, è desiderosa di costruire legami con i Paesi ricchi di risorse per consolidare il suo ruolo egemone.
Li, dopo il presidente Xi Jinping, ha lanciato quella che ha definito l’iniziativa internazionale di cooperazione economica e commerciale sui minerali verdi. Almeno 19 nazioni, tra cui Cambogia, Nigeria, Myanmar e Zimbabwe, insieme all’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, devono secondo il numero due del governo partecipare all’alleanza. In buona sostanza, la Cina ha fatto scattare il sistema di alleanze. L’obiettivo è creare un blocco di Paesi che possano avere accesso alle miniere gestite dalla Cina, creando una sorta di corsia preferenziale. Questo, nella logica del partito, darebbe alla Cina un ruolo di play maker globale.
Non è solo fantaeconomia, ma un progetto reale, concreto. Tanto è vero che il ministero del commercio cinese ha pubblicato di recente un documento di accompagnamento che punta già a mettere il nuovo spazio economico e commerciale sotto il cappello del Wto. Tutto questo mentre in Europa serpeggia lo spettro di rimanere a secco di terre rare. E dalla paura alla realtà, il passo è breve. La Germania, ormai ex locomotiva d’Europa, sprofondata in una stagnazione partita dall’incapacità dell’industria automobilistica di reggere l’urto dei costruttori cinesi e del Green new deal, arrivando fino alla mai superata dipendenza energetica dalla Russia (il nucleare è stato spento due anni fa e le rinnovabili non bastano) ha scelto di mettersi al riparo da eventuali tempeste perfette. Non è un caso.
















