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La nuova difesa Ue? Passa dai distretti italiani. Parla Donazzan

“L’Italia può offrire l’esperienza di un sistema molto flessibile e molto capace di cambiare velocemente. Il rischio da evitare per l’Ue? Che nel tentativo di essere molto sovranisti a livello europeo ci facciamo male da soli”. Conversazione con l’europarlamentare di Ecr/FdI Elena Donazzan

Un jolly chiamato distretti. L’Italia lo offre come modello di sviluppo al macro tema della difesa europea, dopo che nel marzo 2024 la Commissione ha pubblicato una proposta di regolamento sul programma per l’industria europea della difesa e sul quadro di misure per garantire la disponibilità e l’approvvigionamento tempestivi di prodotti per la difesa (Edip). Il testo è stato approvato dalla plenaria di Strasburgo. Formiche.net ne ha parlato con la relatrice ombra, l’europarlamentare di Ecr/FdI Elena Donazzan, legando il ragionamento complessivo al grande tema delle alleanze, oltre che da nuovi mezzi, al fine di costruire una difesa realmente inclusiva.

Quali i vantaggi dell’approvazione dell’Edip in plenaria a Strasburgo?

Costruire una allargamento della base industriale e delle produzioni degli armamenti favorendo le nostre imprese. Ho fatto modificare molte cose della prima scrittura di Edip e oggi è molto afferente alle richieste italiane della nostra base industriale, sia della grande committenza penso alla nostra capofila Leonardo, sia al tessuto di piccole e medie imprese che oggi si trovano portate all’interno di filiere di produzione. Inoltre, serve per dire in Europa che l’antimilitarismo e l’antipacifismo, addirittura con la preoccupazione di dover solo poter parlare di industria della difesa, è definitivamente superato dal contesto e oggi è affermato da un programma industriale che ha un finanziamento che però continua a essere troppo esiguo.

In che modo impedire rischi, di natura organizzativa, “ad escludendum”?

Secondo me è rilevante, dalla prima scrittura ad oggi, essere riusciti a portare alcuni emendamenti relativi proprio ai Paesi terzi, quei Paesi che sono dentro le alleanze. Certamente il quadro di riferimento per tutti è quello della Nato, ma anche Paesi con cui si può collaborare perché non ostili a noi, perché potenzialmente da coinvolgere: pensiamo all’ipotesi di lavoro che sta attorno al Piano Mattei. Quindi la prima cosa che abbiamo evitato è l’esclusione: c’erano percentuali molto alte legate alla componentistica che di fatto escludevano le produzioni italiane. Noi abbiamo circoscritto la cosa e abbiamo alzato la percentuale perché dobbiamo certamente aumentare la base industriale, questo è l’obiettivo strategico di Edip: fare sempre più produzioni europee ed italiane. Al contempo dobbiamo anche rafforzare la nostra relazione industriale perché come ho detto in Aula ieri la politica di alleanze si fa anche con la strategia militare e la strategia militare tante volte si è fatta con quelle industriali, quindi alleanze di produzione. In definitiva dobbiamo usare lo strumento delle collaborazioni con i Paesi terzi in un’alleanza strategica industriale che ci sarà utile anche dal punto di vista militare.

Cosa dobbiamo evitare?

Dobbiamo evitare che nel tentativo di essere molto sovranisti a livello europeo ci facciamo male da soli. Il paradosso è che quelli, con accento parigino, che di solito criticano l’Italia o qualche altro governo europeo di avere troppo a cuore gli interessi nazionale, poi quando si tratta dell’interesse europeo cambiano prospettiva. Dobbiamo evitare che per la miopia del singolo si perda di vista l’obiettivo generale, che è quello dell’allargamento della base industriale e delle alleanze strategiche.

L’Italia vanta una serie di eccellenze riconosciute in questo settore: quale apporto potrà venire dal nostro know-how?

Noi abbiamo una capacità produttiva che ha certamente delle straordinarie eccellenze e che è presente dappertutto e quindi una delle cose che era inizialmente nel disegno di una strategia della difesa era quella di voler legare ancora di più i Paesi europei, ma in modo negativo. Si diceva, ad esempio, di dare all’Italia la priorità su mare e barche o alla Germania sull’aviazione e così via. Ma una cessione eccessiva di capacità industriale significa anche creare incertezza e fibrillazione. Se ti specializzi troppo su una cosa, non è che necessariamente diventi leader. Potresti anche essere isolato nel mondo, oggi, con questo tipo di globalizzazione. Invece la storia delle produzioni industriali ci viene incontro e conferma quello che sto dicendo. Il jolly sono i distretti.

Ovvero?

Un distretto, per quanto non con delle specializzazioni, se molto flessibile e molto capace di cambiare velocemente, di adattarsi in uno scenario di guerre ibride e anche multi livello e multi geografiche, rappresenta un grande vantaggio. Oggi noi non possiamo far uscire un carro armato da un luogo e farlo arrivare in un’altra parte dell’Europa perché passaggi e autorizzazioni lo impediscono. Quindi l’Italia ha la possibilità di esportare un modello virtuoso, quello dei distretti: non la singola specializzazione ma la condivisione di competenze. Così si crea un grande distretto produttivo europeo.


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