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Il proporzionale conviene a tutti. Premierato? Entro la legislatura. Parla Pagano

Si riaccende il dibattito sulla riforma del premierato. L’accusa mossa da sinistra è che il combinato disposto con la legge elettorale possa favorire la maggioranza. In realtà, il sistema proporzionale sul modello di quello adottato nelle regioni, converrebbe a tutti e garantirebbe governabilità. Tutto verrà approvato prima della fine della legislatura. Colloquio con il presidente della prima commissione Affari Costituzionali, Nazario Pagano

Il dibattito sul premierato è tornato a scaldare il Parlamento e non solo. Mentre la politica si divide tra chi parla di “deriva autoritaria” e chi rivendica la necessità di dare stabilità all’esecutivo, la maggioranza ricalibra i tempi – dopo una capigruppo piuttosto animata – e rimette al centro un altro dossier che da mesi ribolle sotto traccia: la legge elettorale. Il presidente della I Commissione Affari costituzionali della Camera, Nazario Pagano, lo dice senza giri di parole: prima si chiude il capitolo sulla riforma del sistema di voto, poi si torna sul premierato. Il clima è teso, le accuse incrociano i corridoi di Montecitorio, ma il forzista rivendica la linearità del percorso e chiama la sinistra alla responsabilità.

Presidente Pagano, da giorni si discute dello slittamento del premierato. È davvero un semplice aggiustamento tecnico?

Sì, è un fatto tecnico. Il premierato era calendarizzato per novembre, ma non andrà in Aula a gennaio. Non ci sono i tempi e non c’è la volontà politica di forzare il percorso. Parliamo di una riforma costituzionale che prevede quattro letture: abbiamo un anno e mezzo per concludere tutto entro la fine della legislatura. Il calendario regge, non c’è nessun retroscena.

L’opposizione parla di frenata politica e di confusione nella maggioranza.

Quelle della sinistra sono accuse strumentali. Abbiamo previsto temporalmente come procedere. Non c’è alcun ripensamento ma solo la scelta di rispettare l’iter naturale delle cose.

Dunque il premierato arriverà dopo la legge elettorale. È una scelta strategica?

È soprattutto una scelta di buon senso. Realisticamente andrà in Aula dopo la legge elettorale. È evidente che il tema va affrontato: non si cambia il sistema di voto nell’ultimo anno di legislatura, e per garantire governabilità al Paese serve uno strumento adeguato. Il Rosatellum non è più idoneo a svolgere questo ruolo.

Entriamo nel merito: quale modello avete in mente?

Bisognerà dare al Paese una legge che assicuri stabilità e forza a chi vince. Il premio di maggioranza è l’elemento chiave. Stiamo ragionando su un modello che abbiamo soprannominato “Regionellum”: un proporzionale che tiene conto della necessità di garantire una maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento a chi supera una soglia significativa.

Quale soglia?

Una soglia tra il 40 e il 42% che porterebbe al 55% dei seggi grazie al premio di maggioranza. Non favorisce nessuno: può vincere la destra come la sinistra. È un proporzionale, con l’eliminazione degli uninominali. Se si lavora per coalizioni solide, la governabilità ne esce rafforzata.

L’obiettivo dichiarato è quello di evitare governi tecnici?

Esattamente. Con un sistema di questo tipo l’esecutivo può adottare i provvedimenti contenuti nel programma votato dagli elettori. E soprattutto si impediscono governi tecnici o premier che non siano stati scelti dagli italiani.

C’è poi il nodo della possibile reintroduzione delle preferenze. Anche su questo, le opinioni divergono. 

Ci sono ragionamenti in corso. Le preferenze possono penalizzare le candidature femminili, e non vogliamo correre questo rischio. Stiamo verificando tutti i possibili effetti per evitare squilibri.

Quando entrerete nel vivo della discussione sulla legge elettorale?

Subito dopo la manovra. È forse il dossier più urgente che va affrontato.

Un’ultima battuta sulla riforma della giustizia: il professor Barbera ha espresso un giudizio positivo proprio questa mattina sul Corriere della Sera.

Il professor Barbera è una persona di grandissima capacità. Ha detto sì perché vede nella riforma il completamento di un disegno costituzionale già tracciato con Vassalli. Parliamo dell’articolo 111 della Costituzione, quello che sancisce il principio del giusto processo. Le sue parole confermano che siamo sulla strada corretta.


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