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Terapie avanzate, l’Italia può dettare il passo in Europa. Zaffini spiega come

Con il nuovo ddl sulle terapie avanzate, l’ambizione è quella di proporre un modello che unisce accesso equo, sostenibilità e capacità industriale nazionale, chiedendo al contempo all’Europa di riconoscere queste spese come investimenti strategici. Conversazione con il senatore Francesco Zaffini

Le terapie avanzate stanno ridisegnando il perimetro della medicina contemporanea: trattamenti “one shot” capaci di modificare in profondità la storia clinica di patologie rare e croniche, ma che pongono ai sistemi sanitari sfide nuove in termini di accesso, sostenibilità e governance. Il 23 ottobre al Senato è stato presentato l’Atto 1691, il disegno di legge recante “Disposizioni per la promozione dell’accesso equo, sostenibile e tempestivo alle terapie avanzate e per il rafforzamento della ricerca, dello sviluppo e della produzione nazionale”. Ne abbiamo parlato con Francesco Zaffini, presidente della commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato e primo firmatario della proposta, che rivendica l’ambizione di un Paese che vuole dettare la linea ed essere d’esempio in Europa sul futuro di queste terapie.

Presidente, il suo disegno di legge sulle terapie avanzate (Atmp) si inserisce in un contesto di forte attenzione alla salute pubblica. Può spiegarci quale sia l’obiettivo principale del suo ddl?

L’obiettivo è duplice. Da un lato sostenere le aziende che fanno ricerca in ambiti ad altissimo rischio fallimento e basso margine, come le terapie avanzate o le malattie rare, dove spesso i numeri non consentono ritorni economici. Dall’altro lato, garantire che i cittadini possano accedere a queste innovazioni. Il fondo che proponiamo nasce proprio per questo: affiancare lo Stato alle imprese e permettere di mettere a terra e utilizzare le più recenti acquisizioni della ricerca farmacologica, garantendo così anche la sostenibilità della ricerca e del sistema.

Il ddl propone la creazione di un fondo sperimentale per le terapie avanzate. In che modo questo fondo contribuirà a rendere queste terapie più accessibili ai pazienti italiani?

Il fondo finanzia l’acquisto di terapie molto costose – in alcuni casi una singola somministrazione può superare il milione di euro – e consente a Regioni e Servizio sanitario nazionale di attingere a risorse dedicate, come già avviene per i farmaci innovativi. Al momento in Aifa vi è una fase aperta di negoziazione rispetto a una terapia avanzata per la fibrosi cistica, se avessimo avuto un fondo di questo tipo già oggi, avremmo potuto dare una risposta più rapida a centinaia di famiglie. È uno strumento che rende il sistema più resiliente e capace di offrire ai pazienti di accedere presto a cure realmente trasformative.

Le terapie avanzate vengono spesso definite una frontiera della medicina. Cosa distingue queste terapie dai trattamenti tradizionali e perché sono importanti per il futuro della nostra sanità?

Sono terapie che cambiano la vita delle persone. Non agiscono solo sui sintomi, ma intervengono alla radice delle patologie, rare e croniche, spesso con somministrazioni uniche che possono trasformare completamente la storia clinica del paziente. Questo significa restituire salute, autonomia e produttività a chi oggi vive condizioni di cronicità permanente.

Come sottolineava poc’anzi, gli Atmp possono ridurre il bisogno di trattamenti prolungati e complessi. Come questo aspetto potrebbe influire sulla sostenibilità del sistema sanitario, soprattutto in un periodo di crescente domanda di cure?

Proprio qui sta la chiave del meccanismo di rifinanziamento del fondo. Lo Stato investe una prima dotazione – abbiamo previsto 250 milioni – ma il fondo si alimenta nel tempo grazie ai risparmi generati sul fronte della spesa corrente. Una terapia che risolve definitivamente una patologia cronica elimina decenni di costi di gestione. Si passa da una spesa di lungo periodo a una one shot che produce risparmi strutturali per il nostro servizio sanitario universalistico, che è nostro dovere difendere.

Come pensa che il governo e il Parlamento possano integrare le terapie avanzate nelle politiche sanitarie esistenti, senza che queste siano trattate come una spesa separata, ma come parte integrante delle risorse destinate a prevenzione e cura?

Agendo su due fronti. A livello europeo, chiediamo che le risorse investite dallo Stato in queste terapie vengano riconosciute come spese di investimento e non come spesa corrente, perché generano risparmi futuri. Sul piano interno, occorre mettere a disposizione questo fondo rotativo che si autoalimenta con i risparmi generati dalle terapie. È una visione coerente: spendere oggi per ridurre la spesa domani, con benefici tangibili per pazienti e sistema.

Il ddl propone anche modelli di pagamento legati ai risultati clinici. Come pensa che questo approccio possa aiutare a ottimizzare le risorse del Ssn e ridurre il disallineamento tra costi iniziali e benefici a lungo termine degli Atmp? Sarà previsto un monitoraggio e una valutazione dei risparmi generati?

Il fondo paga at result, cioè solo nel momento in cui la terapia dimostra efficacia. Le aziende scontano al loro interno i costi dei fallimenti che sono parte intrinseca del lavoro di ricerca e, naturalmente, accedono al fondo solo per i trattamenti che hanno dimostrato la loro efficacia. Il testo prevede inoltre che l’Agenzia italiana del farmaco e il ministero monitorino la fase di prima applicazione del fondo, come già avviene per i farmaci innovativi, ovviamente con requisiti di accesso differenti. È un sistema che paga ciò che funziona. Gli Atmp sono una parte importante di un sistema sanitario più innovativo.

Come possiamo garantire che l’Italia rimanga al passo con le innovazioni mediche globali e con il resto d’Europa? In che modo il ddl che ha proposto contribuirà a questo obiettivo?

Non vogliamo più restare al passo, ma tracciare la strada e dettare i tempi. Abbiamo l’occasione di essere i primi in Europa a prevedere un fondo nazionale per le terapie avanzate, offrendo un modello da seguire anche agli altri Paesi. È un provvedimento coraggioso che dà il senso di un’Italia capace di dettare la linea, non di subirla. All’Europa chiediamo di riconoscere questo sforzo e di adeguare le regole del Patto di stabilità, consentendo di classificare tali spese come investimenti.

Cosa si aspetta dal Parlamento e dal governo nell’esame del suo ddl e nell’ambito della Manovra finanziaria attualmente in esame?

Mi aspetto attenzione e sensibilità. Presenterò un emendamento per avviare il fondo con una prima dotazione di cento milioni, anche se so che il bilancio è complesso e le risorse limitate. Ma è fondamentale mantenere alta l’attenzione politica e costruire un consenso trasversale su un tema che tocca l’equità e il futuro del nostro sistema sanitario. A tale scopo ho anche presentato una mia proposta di legge.

Qual è, infine, il messaggio che vuole lanciare ai cittadini italiani riguardo alla portata delle terapie avanzate e al loro impatto?

Uno Stato si qualifica come equo quando riesce a farsi carico dei piccoli numeri: dei malati rari, delle terapie di ultima generazione. È lì che si misurano la valenza e l’etica di uno Stato e la capacità di una comunità di investire nel proprio futuro. Di fronte alla sfida di garantire la sostenibilità del sistema-salute, questo vuol essere il segno di un Paese che intende prendere in mano il timone del cambiamento, e vogliamo essere d’esempio in questo.


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